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La «febbre» dei ghiacciai sale troppo velocemente: lo studio

In alta montagna il cambiamento climatico modifica in modo drammatico ecosistemi estremi e delicatissimi
Una foto estiva del pianoro del Mandrone storicamente occupata dal ghiaccio - © www.giornaledibrescia.it
Una foto estiva del pianoro del Mandrone storicamente occupata dal ghiaccio - © www.giornaledibrescia.it
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Le nevicate avvenute nelle scorse settimane hanno consentito di programmare nei prossimi giorni l’apertura di alcune piste da sci anche sulle montagne della provincia di Brescia. Nuove precipitazioni per la seconda parte dell’autunno, e per il prossimo periodo invernale, sono attese da chi pratica lo sci in pista e altre attività sportive in ambiente innevato: sci di fondo, scialpinismo, escursioni con le ciaspole.

Per una rivitalizzazione delle sofferenti masse glaciali in quota è però necessario che ai contributi nevosi si accompagni anche un supporto di valori di temperature adeguate al mantenimento della neve e alla sua trasformazione in ghiaccio. Gli effetti del riscaldamento a livello planetario sono sotto gli occhi di tutti, e proprio le zone di alta montagna sono quelle in cui si manifesta con l’intensità maggiore, peraltro caratterizzate in parallelo da una diminuzione della durata della neve al suolo.

Lo studio

È questo l’esito di uno studio internazionale pubblicato poche settimane fa su Nature Communications, che ha effettuato una mappatura delle temperature in alta montagna in diverse zone del globo, coordinato dall’Università degli Studi di Milano e del Consiglio Nazionale delle Ricerche, in collaborazione con il Museo delle Scienze di Trento.

Un gruppo internazionale di ricercatori ha posizionato centinaia sensori per misurare la temperatura del suolo in prossimità dei ghiacciai estesi in diverse aree del mondo, a partire dalle zone alpine fino alle Ande del Perù e alle isole Svalbard vicino al Polo Nord. Lo studio ha consentito di produrre la carta più dettagliata della temperatura nelle aree di alta montagna oggi esistente, che rileva le differenze esistenti tra zone poste a poche decine di metri di distanza. Mediante analisi effettuate negli ultimi vent’anni i ricercatori hanno osservato che alcune aree di alta montagna si stanno riscaldando in modo superiore rispetto a quello atteso dai modelli globali, con una situazione di particolare gravità anche per le zone in prossimità dei ghiacciai.

Il ritiro dei ghiacciai e la riduzione del manto nevoso stanno amplificando il tasso di riscaldamento. La presenza di neve e ghiaccio può contribuire a tamponare l’aumento della temperatura, ma la loro scomparsa dalle aree di alta montagna induce ad un cambiamento di questi ecosistemi ad una velocità senza precedenti. Nell’ultimo ventennio le aree prossime ai ghiacciai si sono scaldate circa il doppio di quelle situate a soli tre chilometri di distanza.

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