Lo strano caso di Wikipedia che non si fida dell’AI

Epifenomeni emblematici. Potremmo definirli così, quasi con un ossimoro. Oscillazioni di poco conto tra le pieghe della grande rivoluzione tecnologica, che però segnalano questioni significative. Come il fatto che Wikipedia, nella versione in lingua inglese, dopo dieci giorni di sperimentazione, decida di lasciare da parte l’intelligenza artificiale nel redarre i «simple article summaries» – brevi riassunti per le voci più consultate – perché la ritiene poco affidabile.
Detta così, vien da pensare al bue che dà del cornuto all’asino. Ma come? Wikipedia, simbolo per lungo tempo della scarsa attendibilità dei contenuti nei motori di ricerca web, mette sotto accusa, per la stessa ragione, IA, emblema dell’onnipotenza tecnologica?
Il fatto può essere passato inosservato, anche perché nel frattempo i teorici dell’intelligenza artificiale sono alle prese con la sua evoluzione «sovrumana», per dirla con Nello Cristianini che alla questione ha dedicato un brillante saggio – «Sovrumano» (il Mulino) – dimostrando come le macchine, in potenza e velocità, siano già andate ben oltre i limiti della nostra intelligenza.
Certamente suscita maggior interesse che negli stessi giorni Amazon abbia registrato a libro-paga più robot che dipendenti umani: oltre un milione. Il sorpasso ha scatenato una ridda di previsioni: il Rapporto McKinsey Global pronostica che entro il 2030 oltre il 30% delle ore lavorate sarà automatizzato, mentre Bill Gates immagina che entro dieci anni noi umani potremo lavorare solo due giorni la settimana. Amazon assume robot mentre un altro gigante, Microsoft, annuncia la quarta riduzione di personale negli ultimi due anni, stavolta ne licenzia novemila. Come la mettiamo con il lavoro che – tanto per dirne una – sarebbe il fondamento della nostra Repubblica secondo la Costituzione?
Al di là delle immense questioni sociali e antropologiche che la prospettiva pone, vale la pena di sottolineare che stiamo sempre parlando di robotizzazione, cioè di quelle macchine che nel linguaggio del settore vengono classificate come Ani (Artificial narrow intelligence), progettate per svolgere limitati compiti specifici. Ben lontane, quindi, dall’Agi (Artificial general intelligence), quella in grado di assumere tutti i compiti cognitivi degli esseri umani. Ed è su questo fronte che si colloca la piccola diatriba fra Wikipedia e IA.

Wikipedia è la più emblematica delle realtà digitali. È un’enciclopedia che nasce e cresce spontanea, si regge su autori volontari sparsi nel mondo, che scrivono, correggono, vigilano e discutono (qualche volta litigano) sulle singole voci. Proprio per questo è stata accolta, all’inizio, con un misto di entusiasmo (liberi contributi, libero pensiero, massima trasparenza) e preoccupazione (ogni cosa ha identico valore, indipendentemente dalla documentazione portata a sostegno). Una fondazione americana senza scopo di lucro, la Wikimedia Foundation, garantisce le infrastrutture, raccoglie fondi e protegge il progetto nella sua indipendenza. A reggerla è una comunità che si articola per rami linguistici, che si è democraticamente data regole di comportamento.
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Negli anni Wikipedia ha superato molte delle diffidenze iniziali grazie ad una crescente vigilanza sui contenuti. Con un obiettivo preciso: l’affidabilità di quel che viene postato. Ebbene, la comunità che si prende cura della versione in inglese, ha messo alla prova per dieci giorni l’intelligenza artificiale per produrre uno strumento assai usato dai naviganti nella Rete, un breve riassunto alle voci più consultate. Ma alla fine, secondo una maggioranza rilevante dei redattori, l’algoritmo ha mostrato di non essere all’altezza. Ha preso allucinazioni, ha mostrato falle, si è rivelato poco attendibile. Probabilmente perché lavorando secondo criteri statistici, sui temi più consultati, è stato tratto in inganno dall’abbondanza di contributi a loro volta poco attendibili. La comunità di Wikipedias ha perciò deciso di lasciar perdere.
Così va per ora con l’Agi. Mentre si lavora e si investe alla grande nell’Asi, l’ipotetica forma di intelligenza artificiale che supererebbe quella umana, non solo per conoscenza, ma anche per capacità di risolvere problemi e per creatività. Su questo fronte la questione va oltre la tecnologia per diventare filosofica ed etica. Quel che sta accadendo nel mondo ci dovrebbe insegnare che non basta «sapere» e «saper fare», bisogna anche chiedersi «perché farlo» e a che scopo. L’intelligenza globale richiede una visione globale del mondo. Che non c’è. Lo si intuisce anche leggendo la relazione annuale di Agicom. L’autorità di vigilanza sulle comunicazioni ci offre un’immagine sconfortante di noi italiani. Il 48% sta per più di 4 ore al giorno connesso a Internet, solo il 4% non vi accede mai, eppure il 64% ha «un livello nullo o scarso di alfabetizzazione algoritmica». Navighiamo nel web ma siamo totalmente in balia delle sue correnti.
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