Il welfare Usa e la terapia d’urto di Donald Trump

È diffusa la convinzione che sia un fardello per la crescita, che i beneficiari degli aiuti pubblici siano quasi sempre «poco meritevoli» e che il principale attore, anche in questo campo, debba essere il mercato
Donald Trump nello Studio Ovale - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
Donald Trump nello Studio Ovale - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
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Il welfare, insieme alle politiche ambientali e sull’immigrazione, è tra i bersagli dichiarati dell’azione politica di Donald Trump. Se il tycoon darà seguito alle proprie affermazioni si prospetta lo smantellamento del già residuale sistema di protezione sociale che l’amministrazione Biden è faticosamente riuscita a mantenere seppure suscitando le opposte critiche dei Repubblicani, che avrebbero voluto anzitempo ridimensionarlo e quelle di una parte del Partito Democratico, che invece avrebbe voluto rafforzarlo.

Per avere un’anticipazione della terapia d’urto che Trump potrà adottare nei confronti del welfare a stelle e strisce può essere utile ricordare quanto accaduto durante il suo primo mandato presidenziale.

Tra il 2017 e il 2019 egli introdusse una serie di misure che secondo molti analisti, per portata e ricadute, possono essere paragonate a quelle adottate agli inizi degli anni Ottanta da Ronald Reagan. Forte della vivace crescita economica, Trump perseguì insieme le priorità di abbassare drasticamente le tasse e di ridimensionare (in alcuni casi fino a porvi fine) alcuni programmi sociali. Tra le misure più radicali vi furono la forte riduzione dei finanziamenti al programma federale che fornisce aiuto e sostegno nell’acquisto di generi alimentari ai nuclei familiari al di sotto della soglia di povertà o del tutto privi di reddito.

Si registrarono poi tagli sostanziali al cosiddetto Obamacare ovvero all’Affordable Care Act che ha esteso gli aiuti alle famiglie a basso reddito per ottenere i servizi medici di base (si stima che i beneficiari siano stati circa 45 milioni). A questi si aggiunsero l’eliminazione di alcuni programmi relativi all’edilizia abitativa e la riduzione dei finanziamenti federali agli Stati per l’assistenza sociale. Si trattò di un insieme di provvedimenti che produsse dirette conseguenze soprattutto sulle persone con redditi bassi e medio-bassi, tanto che l’area del bisogno si estese e i divari socioeconomici tra i diversi strati sociali aumentarono drasticamente, anche al netto della crisi intervenuta nell’ultima fase del mandato presidenziale (2020-2021) dovuta alla pandemia.

Tutto lascia supporre che nel nuovo mandato presidenziale si possa assistere a una decisa riedizione di questa ricetta trumpiana che peraltro oggi (come ieri) è supportata dal consenso di vasti settori di opinione pubblica americana che percepiscono i programmi governativi, soprattutto in tema di welfare, come un’indebita ingerenza dello Stato federale e come un ostacolo all’iniziativa personale. Al contempo è diffusa la convinzione che il welfare sia un fardello per la crescita, che i beneficiari degli aiuti pubblici siano quasi sempre «poco meritevoli» e che il principale (o il solo) attore, anche in questo campo, debba essere il mercato.

Sembra quindi che l’annunciata «nuova età dell’oro» si associ alla radicalizzazione dell’idea neoliberale dello «Stato minimo» che oggi trae un nuovo impulso dagli scenari di tecno-efficientamento dell’apparto statale preconizzati da «tecno-politici» come Elon Musk (chiamato a dirigere l’agenzia governativa incaricata di tagliare la spesa pubblica). Al contempo, è in programma la limitazione dei poteri del National Labor Relations Board, l’agenzia federale responsabile della tutela dei diritti dei lavoratori, assecondando così le posizioni anti-sindacali delle aziende big tech e approfittando della già scarsa capacità di mobilitazione dei sindacati che negli Usa rappresentano meno del 10% dei lavoratori.

Siamo quindi ben lontani dalla prospettiva sociale europea che, pur nella diversità e nei limiti dei sistemi nazionali, ritiene centrale la tenuta del welfare. L’orientamento delle politiche sociali potrà dirci molto su come la nuova amministrazione Usa affronterà i propri problemi interni (disuguaglianze, povertà, marginalità, assistenza), ma anche su come la società americana pensa sé stessa.

In ogni caso il probabile smantellamento del pur più debole e carente welfare americano non è un segnale incoraggiante per chi ritiene che la presenza di un sistema di protezione sociale inclusivo e tendenzialmente universalista, non solo non è nemica dello sviluppo, ma è un segno di civiltà e di equità, un indispensabile strumento di responsabilità collettiva verso le componenti più fragili e vulnerabili della popolazione.

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