Opinioni

Il vero definitivo lasciarsi: quel non voltarsi più indietro a cercarsi

Amare per due non è un'equazione virtuosa: a far finire una relazione sono sempre le piccole sottrazioni e quelle cose non dette da parte di entrambi
Una coppia che si sta lasciando - © www.giornaledibrescia.it
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A condurre all’addio non sono gli strappi, le urla, la rabbia, i litigi dell'ultima ora, ma le piccole, impercettibili, sottrazioni, quel lento dismettere, smantellare, spartirsi cose e ricordi, successivo all'allontanarsi dei corpi. Partirono dagli odori: lei si prese il profumo della moka del mattino, lui quello della sua crema per il corpo. Il profumo del bucato steso in salotto d’inverno e le gocce di pino nei caloriferi, decisero, sarebbero rimasti ad entrambi.

Poi fu la volta dei rumori: a lei il ticchettio della pioggia sui vetri in montagna, a lui il rumore delle lancette dell'orologio della cucina all'alba. Poi le luci. I bagliori del primo sole fra le persiane per lei e quelli dello schermo acceso, a volume spento, nel cuore della notte per lui. Le attese, la telefonata mai fatta, la cosa non detta, quella piccola attenzione, la mano che non aveva afferrato, il regalo mancato, non le volle nessuno. Idem per le assenze. Quella volta che lei si era sentita sola, quella sedia vuota, il messaggio mai scritto o mai inviato. Finirono fra le cose inutili, da dimenticare.​​​​​​

Anche i sogni non seppero come spartirli: ne avevano fatti così pochi insieme, i più importanti avevano preso, alla nascita, il loro cognome. Con i ricordi fu un'aspra battaglia, lui voleva prendersi le estati e lasciarle gli inverni, lei voleva tenersi i pomeriggi d’autunno e la prima volta di qualsiasi cosa: il primo bacio, la prima pagella, il dentino caduto, il giorno del saggio di danza, chi c’era, chi non c’era, chi avrebbe dovuto esserci.

Si decise, salomonicamente, che ognuno si sarebbe tenuto i propri accatastandoli dove voleva. Poi toccò alle parole – «ciao amore», «buonanotte amore», «torna presto», «hai mangiato?» le lasciarono andare come palloncini nell'etere, fluttuavano, ormai senza peso, ormai da troppo tempo. Le più importanti, quelle dette solo una volta, i «ti amerò per sempre», «non posso vivere senza te», le misero in un braciere e vi diedero fuoco insieme.

Quando arrivò il turno dei figli per fortuna furono più pragmatici. Se li spartirono con criterio, con chirurgica meticolosità, come di fronte a una ferita che non poteva sanguinare troppo. A tratti litigarono rivendicandosi strani diritti d’autore. Il calendario venne bene, preciso preciso, mentre i figli, sdraiati per terra, disegnavano due casette gemelle, dal tetto rosso, una accanto all'altra, unite da una stradina alberata. Nel fare le ultime spartizioni scoprirono che l’amore non si divide mai equamente: uno dei due ne ha troppo e l'altro ne ha meno o non ne ha più. Amare per due non è un'equazione virtuosa. In terra restavano coriandoli di pezzi sparsi dell'uno e dell’altro, che non si lasciavano archiviare.

Erano quelli che sarebbero rimasti addosso a loro per sempre. Si sedettero a sorseggiare un amaro (la bevanda migliore per le cose finite) perché ora c'era da dividere la cosa più difficile: la strada. Tutto il resto si poteva impacchettare, spartire, archiviare. Ma nella strada, che era ancora la stessa, sotto i loro piedi, si era creata una faglia che li costringeva alla scelta: se darsi o meno le spalle.

Avrebbero voluto abbracciarsi piano, come due fratelli, con la gratitudine di chi arriva all’ultima pagina del libro e lo chiude sereno, ma nessuno dei due ne aveva il coraggio. Così, semplicemente, si alzarono e senza più guardarsi negli occhi si strinsero la mano, finché le dita scivolando lasciarono la presa una forza invisibile li attraeva in opposte direzioni. Che poi è questo, in fondo, il vero definitivo lasciarsi: quel non voltarsi più indietro a cercarsi.

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