L’amore è un dono, non va preteso. E va onorato anche se finisce

Non è incredibile che i nostri occhi mantengano sempre la stessa grandezza fino alla morte? E che questa cosa, che condividiamo con alcune specie animali, serva a salvarci la vita perché la sproporzione degli occhi rispetto al volto intenerisce i predatori? Tutto cresce e si modifica, ma gli occhi no, restano quelli dell’uomo e della donna che saremo: il nostro sguardo sul mondo e la finestra delle nostre emozioni. Possiamo amare e odiare, accogliere, respingere, parlare solo con gli occhi. La pupilla si allarga quando prestiamo attenzione, si restringe con il rancore, si dilata del cinquanta per cento quando guardiamo chi amiamo.
Lo sguardo della coppia in conflitto separativo è spesso quello di un rapace, intento alla caccia chirurgica all’errore, alla raccolta di prove, di colpe, di inadeguatezze e di tutte quelle cose che, improvvisamente inaccettabili, servono a riscrivere la storia in negativo, inventariando i torti dell’altro per sentirsi vittime o i giusti della favola. Uno sguardo che evita accuratamente di incrociare le pupille dell’altro nel timore di restare accecati dalla scheggia di un ricordo bello.
L’inarrestabile piena del rancore è il miglior palliativo per sopravvivere alla delusione, al senso di fallimento. Amor omnia vincit. Che inganno. L’amore è fragilissimo, esposto agli attacchi feroci dell’abitudine e della noia e di tutti quegli infiniti noi, inespressi, che chiedono di avere una possibilità. «Ah si vivesse solo di inizi», canta Niccolò Fabi. E se la bellezza fosse invece dentro a tutto ciò che si costruisce in mezzo? E questa consapevolezza facesse cadere le difese? Ci facesse accettare di rispecchiarci anche nello sguardo (feroce) dell’altro.
«Davvero mi vedi così? Cosa ho fatto per meritarlo? Ed io, cosa non so ancora di te? Cosa non ho capito di te e di me?» Una terapia a costo zero, che allena alla tolleranza reciproca. Ma tutto ci invita ad essere intolleranti e pieni di pretese dentro alle relazioni amorose ed anche genitoriali. Come bambini capricciosi. Chi ha scritto il decalogo della moglie e madre perfetta o del marito e padre ideale? La mamma? La suocera? Il suocero? Nostro padre? I nonni? E dove era scritto che l’altro mi doveva amare per sempre e per forza? O che si debba sopportare tutto per amore?
«Mi ha tradito! Avvocato, ha promesso di essermi fedele sempre! Voglio che paghi! Ho le prove». Ma le prove di cosa? Delle colpe dell’uno che sono l'alibi per le colpe dell’altro? Ma davvero crediamo che si debba pagare oggi per aver giurato a vent’anni di amare la stessa persona allo stesso modo fino alla tomba? E che l’amore sia assoggettabile alle leggi del dovere per poi sentirsi legittimati a mettere in campo ogni tipo di violenza o atteggiamento ritorsivo? Costruiamo nidi su un sentimento, temporaneo per natura, senza mai considerare che nel lungo cammino della vita l’unica forza costante è il cambiamento. No, lasciatelo andare quello sguardo cattivo.
Non possediamo nessuno e nessuno ci possiede. Si sceglie di amare, ma se è scelta, allora dobbiamo anche guardare all’amore dell’altro come un dono che va onorato e non preteso, che va guardato sbocciare ogni mattina e reclinare il capo la sera come fosse un miracolo e non un dovere. Amare richiede coraggio, il coraggio di accettare il cambiamento continuo, dell’altro e il nostro di conseguenza. Non amare più richiede rispetto. Onorate il percorso, non odiate la fine. Fatelo per voi, fatelo per i vostri figli se ci sono.
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