L’Ucraina stretta fra scarsità di munizioni e pressing russo

L’Ucraina ha perso smalto mediatico ma non certo drammaticità né intensità. Bombardamenti quotidiani, anche se non «a tappeto», piovono su città e infrastrutture che ancora funzionano, ma non è questo l’aspetto determinante: più significativo è infatti rilevare che l’offensiva estiva russa, più volte paventata da Zelensky, è in atto. Kiev è sempre più in difficoltà perché le scorte di munizionamento antiaereo e di artiglieria americane, pari al 33% del totale, sono in rapida diminuzione (con possibilità di ripresa scarse). I Paesi Ue non sono industrialmente ed economicamente in grado di supplire a tale carenza: secondo analisi recenti, infatti, per colmare il divario sarebbe necessario ad esempio che l’Italia aumentasse le spese pro Ucraina da 900 milioni a 5 miliardi, Londra da 3 a 7, ecc. Impensabile. Unica notizia positiva per Kiev è che la Norvegia fornirà 28 e non 14 caccia F16, con cui gli ucraini potranno almeno infastidire lo strapotere aereo russo (anche se serviranno nuovi piloti addestrati pronti al combattimento).
Per il resto, monitorando i movimenti russi si rilevano avanzamenti su tutto il fronte che da Nord a Est e Sud si estende per 700 km: il terreno viene conquistato a fatica ma con progressione costante. Non attaccano formazioni meccanizzate, che non possono sfuggire all’implacabile «scoperta e distruzione» dei droni, ma piccole formazioni, a livello di plotone (una trentina di uomini, numero che rende poco credibile la narrazione dei mille soldati persi al giorno da Mosca) su mezzi leggeri, spesso civili per giungere a contatto con le linee ucraine. Linee prima colpite dalle micidiali bombe plananti Umpk da 500 o 1.000 kg, sganciate dai caccia a decine di km di distanza, che spianano letteralmente il terreno. Nella sola zona tra Pokrovsk e Toretsk in giugno ne sono state sganciate mille: in un’impressionate immagine satellitare, ad esempio, si vede una trincea di meno di 200 m attorno a cui sono piovute 40 Umpk.
I movimenti più intensi si registrano a Nord davanti a Sumy: dopo aver ripreso il controllo della zona del Kursk, infatti, i russi schierano 50mila uomini davanti alla città e si trovano a 20 km dalla periferia. Scorrendo la mappa si registra la manovra russa che mira a tagliare fuori Lyman dal baluardo del fiume Oskil, per completare al 100% l’occupazione dell’oblast di Luhansk (ora conseguita al 99). Ferme da tempo le posizioni attorno a Chasiv Yar, si notano progressi significativi nel settore tra Pokrovsk (ancora incredibilmente in mano ucraina) e Toretsk. Qui la rotazione delle unità russe si è fatta intensa e la pressione sempre più costante (solo martedì le truppe di Mosca si sono incuneate per 16 kmq): obiettivo è separare le esauste unità ucraine e puntare da più direzioni su Kostjantynivka, città che, per orografia, non è molto difendibile. Molti video, a dimostrazione della grave situazione, mostrano soldati russi occupare trincee non presidiate.

Nella zona di Kharkiv sono concentrate due armate russe, forse non sufficienti per attaccare la grande città (che prima della guerra aveva 1,4 milioni di abitanti) ma destinate ad attivare l’ennesimo fronte per le sempre meno consistenti forze ucraine. La serie di manovre avvolgenti crea una dopo l’altra sacche in cui le truppe di Kiev restano tagliate fuori, per aprire definitivamente la strada verso Kramatorsk, Lyman e Sloviansk, ultime importanti città per completare la conquista dell’oblast di Donetsk (che Putin considera obiettivo «minimo»). Anche nella zona di Zaporizhia, dopo mesi di stasi, i russi han preso Orkhiv e Huliapole (logisticamente importante, all’incrocio di cinque strade).
Le operazioni, insomma, sono tornate ai livelli di ottobre/novembre, con 390 assalti solo nell’ultima settimana: resta da vedere se Mosca riuscirà a sostenerle per più di tre-quattro mesi, limite sinora mai superato. Se così fosse, a settembre dovrebbe arrivare di fronte a Kramatorsk e Sloviansk, che nel frattempo vengono fortificate. Gli ucraini insistono nel difendere ogni località sino alla fine, certo per guadagnare tempo e rafforzare posizioni alle spalle. Sinora la diga ha retto e le sempre più numerose crepe sono state faticosamente tappate. Il problema però è l’effetto domino: se si aprisse una falla i guai sarebbero davvero molto seri.
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