Ucraina, l’Eurobond di guerra scelta unitaria ma di ripiego

Procediamo nella rotta giusta, ma la nostra velocità è bassa, troppo bassa, siamo troppo timorosi: gli eventi corrono
La riunione del Consiglio europeo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
La riunione del Consiglio europeo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Iniziamo con cercare il buono nei risultati del Consiglio europeo appena concluso. «Le cooperazioni rafforzate sono intese a promuovere la realizzazione degli obiettivi dell’Unione, a proteggere i suoi interessi e a rafforzare il suo processo di integrazione», così recita l’articolo 20 del Trattato europeo, menzionato nelle Conclusioni dell’ultimo vertice di questo 2025. Lo fa in relazione al prestito di 90 miliardi di euro concessi all’Ucraina per fronteggiare i costi dell’aggressione russa. Una intesa tra 24 Paesi, in quanto la solita Ungheria, seguita dalla Slovacchia e dalla Cechia non vi partecipano.

Così, ricorrendo a uno strumento tante volte evocato, ma ben poco utilizzato, l’Ue è riuscita a superare (ma in modo non indolore, e lo vedremo tra poco), l’impasse sull’utilizzo degli asset russi per finanziare la guerra da loro stessi scatenata e continuata. Una cooperazione rafforzata per un debito comune, dunque, coperto con le disponibilità del bilancio attuale. Si tratta di un nuovo ricorso agli eurobond dopo il lancio di Next Generation Eu. Non facciamoci illusioni. Ad esso si è giunti per paura piuttosto ché per fratellanza intra-europea.

La paura, belga, francese e pure nostrana, del rischio di ritorsioni da parte di Putin, è riuscita a far cedere il cancelliere Merz, giunto a Bruxelles ben deciso a convincere i partner a utilizzare gli asset russi. Tuttavia, a prescindere dalle motivazioni, possiamo pur sempre guardare a questo nuovo ricorso agli eurobond come a una soluzione pragmatica di stampo europeista. Una riaffermazione di come, solo con il ricorso a interventi unitari, sia possibile trattare i problemi dell’oggi. In definitiva, la soluzione adottata potrà generarne altre nella stessa linea. La ricerca del buono, non certo dappoco, termina qui.

La soluzione prestito è emersa come piano B. In altri termini, è un second best rispetto a quella ritenuta ottimale. In primo luogo perché, quantitativamente, fa fronte solo alle esigenze di un anno o poco più, di miliardi ne servivano almeno 140, mentre ne sono stati stanziati, appunto 90. Vi sarà, dunque, necessità di una nuova discussione e decisione, anche perché una tregua a breve suona come piuttosto improbabile. Inoltre, ancora una volta, viene messa in luce la difficoltà europea ad assumere decisioni gravi.

La scarsa o nulla disponibilità ad assumersi determinati rischi (le reazioni russe) di fronte alle conseguenze, dai rischi-certezze ben più pesanti per l’intera Europa, di un collasso dell’Ucraina. Quanto affermato dal premier polacco Donald Tusk. «O soldi subito o sangue domani», è un messaggio pregnante. Non si tratterebbe solo del sangue degli ucraini. In effetti, gli ha subito fatto eco Putin: «Non ci consideriamo responsabili della morte delle persone, perché non abbiamo iniziato questa guerra», per poi attribuirne la colpa a Kiev e ai suoi alleati. Malauguratamente tanta, troppa parte degli europei, con i rispettivi governi a fare poco o nulla in merito, continua a guardare alla guerra come a un qualcosa di esterno, privo di implicazioni per il loro futuro. Semmai pericolo esiste è quello di quanto le spese per gli aiuti all’Ucraina possano erodere, nei bilanci pubblici, quelle di carattere sociale.

Preoccupazione in sé legittima, ma di fatto miope, priva di uno sguardo al futuro. Garantire la nostra sicurezza è garantire le nostre conquiste sociali. In conclusione, cercando di mettere assieme il buono e il meno buono. Procediamo nella rotta giusta, ma la nostra velocità è bassa, troppo bassa, siamo troppo timorosi. Gli eventi corrono. La Turchia sta restituendo alla Russia gli S-400 a suo tempo acquistati, rafforzandone le capacità di difesa, una mossa a sostegno di Putin. Se l’Ucraina cade è perduta, portandosi dietro chissà quante delle nostre libertà.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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