Donald Trump, i dazi e l’assenza di visione di sistema

Gli investimenti esteri sono stimati in quasi 6 trilioni di dollari: un terzo di questi proviene dal vecchio continente e contribuiscono in modo rilevante allo sviluppo e all’economia statunitense
Trump e la sottovalutazione delle interconnessioni tra paesi - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Trump e la sottovalutazione delle interconnessioni tra paesi - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Steve Jobs, nella sua celebre Lectio Magistralis alla Stanford University, ci insegnò che una delle grandi scoperte della sua vita fu quella di mettere in collegamento i «puntini», ossia di comprendere il significato della parola sistema. Purtroppo, questa lezione non è stata appresa da Trump e dai suoi consiglieri, i quali hanno iniziato a immaginare un sistema economico fatto a silos, ognuno dei quali, nel loro modo di interpretare l’economia, è poco interconnesso o, laddove ha delle connessioni, queste possono essere massimo bi-trilaterali (il mercato Usa verso il mercato Ue, il mercato Usa verso il mercato cinese e via così).

In realtà, purtroppo per tutti noi, questa incredibile sottovalutazione sta facendo emergere tutta una serie di problemi che, evidentemente, Trump e i suoi consiglieri o non hanno saputo individuare oppure non ne hanno previsto le interconnessioni. Facciamo qualche esempio. Si stima che gli europei investano da anni 300 miliardi di euro nell’economia americana, una parte è direttamente orientata alla borsa Usa, ai fondi che vi operano (per Bloomberg il 48% dei flussi regionali verso le azioni Usa arrivano dall’Europa) con flussi mensili che si stima siano attorno ai 7 miliardi di euro.

L’ammontare di questo investimento è imponente, ma è solo una piccola parte del flusso economico che passa dalle due sponde dell’Atlantico. Ci sono prodotti e servizi e, da questo punto di vista, pare che Trump si sia interessato soltanto dei prodotti, dimenticando i servizi ormai componente importante dei rapporti tra economie. Parlando di servizi il flusso (bilaterale) complessivo stimato è di 475 miliardi di dollari con uno squilibrio a favore degli Usa di 75 miliardi (non determinante per il mercato statunitense orientato prevalentemente all’interno, ma significativo quando si fa riferimento ai servizi innovativi). Ma oltre a prodotti e servizi vi sono risorse che vengono investite direttamente dall’Europa agli Usa aprendo o sviluppando siti.

Complessivamente gli investimenti esteri sono stimati in quasi 6 trilioni di dollari dove i dati degli ultimi anni raccontano di un terzo di investimenti esteri provenienti dal vecchio continente (in primis dalla Germania). Si parla di cifre difficili anche da «pensare» che, a loro volta, contribuiscono in modo rilevante al Pil americano, quindi allo sviluppo e all’economia Usa.

Non va dimenticato il debito pubblico, quello spauracchio che viene agitato dall’amministrazione americana per giustificare una parte di queste nuove decisioni. Oggi il debito pubblico Usa (stimato in più di 33mila miliardi di dollari) è regolarmente finanziato da altri Paesi con l’area Euro che ne detiene poco meno di 1.800 miliardi (se si considerano i paesi europei non area euro, in primis la Gran Bretagna, il vecchio continente detiene più 5% del debito degli Stati Uniti).

Potremmo andare avanti citando settori specializzati o ambiti legati all’innovazione dove le diverse economie sono necessariamente interconnesse. Pensiamo alle ricerche avanzate nel campo della diagnostica, dell’AI e dell’aereospaziale. In generale ad oggi si stima che il 50% dei fondi di ricerca per l’innovazione (nelle sue diverse forme) vedano l’intervento congiunto Usa-Ue. Anche questo aiuta a chiarire quanto sia miope leggere il sistema economico suddividendolo in porzioni.


Non avere una visione di sistema sta già creando un effetto valanga, che oltre ad essere alimentato dall’incertezza (i nostri politici lo chiamano panico), è anche effetto di logici collegamenti tra i vari scomparti dell’economia e della società. Negare le interconnessioni è il più grande errore che possiamo imputare a Trump e ai suoi suggeritori. Ma proprio per questo ogni reazione ed ogni iniziativa non può essere «parziale» perché, così facendo, si andrebbe ancor più alimentando l’effetto domino a cui stiamo assistendo.

Senza un approccio che veda una gestione sistemica dei diversi fronti oggi aperti finiremmo con il zavorrare ulteriormente il quadro in cui ci siamo trovati. Qui si gioca la vera partita ed è una partita difficile, chiamarla guerra commerciale sembra quasi minimizzare le difficoltà alle quali dobbiamo far fronte. Vanno comprese, definite, condivise le interconnessioni ed agire il più possibile congiuntamente per modificare l’asse sul quale il sistema economico globale poggia. «Modificare» e «congiuntamente» sono termini che rappresentano obblighi per tutti i paesi e, quindi, per tutti i governanti che nei diversi sistemi economici e sociali oggi guardano agli effetti devastanti di queste decisioni americane.

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