Affaire Bova sotto l’ombrellone, l’Italia si specchia nel trash

Il tormentone dell’estate è il presunto tradimento dell’attore, mentre Temptation Island continua a registrare ascolti-monstre: non è solo gossip estivo
Raoul Bova e Martina Ceretti
Raoul Bova e Martina Ceretti
AA

Ogni estate ha il suo tormentone. E quella odierna ne ha addirittura un paio, che valgono quali ennesime – per parafrasare indegnamente Piero Gobetti – «autobiografie (di pezzi) della nazione». La prima è l’affaire Bova, specchio di quello che sono diventate, nella regressione senza fine di questa fase storica, certe élites e vip dello spettacolo (ma si potrebbe dire che il processo investe pure ampi settori dei gruppi dirigenti), mentre Temptation Island, come certificano i numeri-monstre degli ascolti si propone quale autobiografia generale e diffusa dell’ex Belpaese. E, dunque, in tutta evidenza, non è «solo» gossip estivo – anche perché proprio attraverso questa lente, elevata da tempo a dignità accademica e scientifica, diventano comprensibili alcune dinamiche sociali in atto.

Nella vicenda del tradimento della moglie da parte dell’attore Raoul Bova – che, per inciso, ha rilevato il ruolo tv dell’amatissimo Don Matteo (la nemesi...) – si intreccia letteralmente «di tutto di più». Un adulterio fugace e consumatosi molto rapidamente, ma che, a quanto si legge, ha avuto due anni di preparazione attraverso l’intensissimo epistolario social che ha intrattenuto con la modellina e influencer Martina Ceretti – e, certo, quale altra poteva essere la «professione» della protagonista? –, con il rovinoso disvelamento sempre via web da parte di Fabrizio Corona. Altro comprimario essenziale il «re dei paparazzi 2.0» (dalla fedina penale molto sporca), perennemente sprofondato in una zona assai grigia fra «rivelazioni» scandalistiche e ricatti a scopo estorsivo.

Il plot – come da prototipiche strategie narrative dei tormentoni estivi – si svolge proponendo continui e repentini «colpi di scena»: come etichettare altrimenti, difatti, la discesa in campo quale avvocata difensora di Bova della divorzista principessa del foro (e del programma Forum) Annamaria Bernardini de Pace, già suocera (e poi durissima critica) dell’attore che si era sposato in prime nozze con la figlia Chiara Giordano.

L'avvocata Annamaria Bernardini De Pace - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
L'avvocata Annamaria Bernardini De Pace - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

La famosa legale, nel frattempo – la telenovela evolve ogni giorno, giustappunto – ha querelato Corona, che ha fatto circolare l’audio di una loro presunta telefonata, e ha reagito in puro populismo gossip-giudiziario, scagliandosi contro de Pace, definita «finta come Forum» e «manovratrice del circolino della Procura di Roma e dei quotidiani importanti».

Insomma, l’affaire Bova, oltre che un divertissement estivo per chi ne legge gli episodi sotto l’ombrello, rappresenta un distillato di quanto si agita nelle viscere del nostro – chiamiamolo così – corpaccione sociale. Come la programmatica distruzione della nostra lingua madre, portata avanti soprattutto dalle coppie dell’«Isola delle tentazioni» mandata in onda da Mediaset, ma con un non trascurabile contributo da parte di Corona e Bova, che rimarrà verosimilmente inchiodato a lungo al suo inarrivabile audio indirizzato alla giovane fiamma e scandito dalle seguenti (memorabili) parole: «Buongiorno essere speciale dal sorriso meraviglioso, dagli occhi spaccanti e dai baci meravigliosi». O come il meccanismo «riccanza-apparenza», centrale nell’ambito della nuova egemonia sottoculturale dell’influencer – e palesato dalla «coppia di fatto» Ceretti-Federico Monzino – quale smania di mostrarsi ed esibirsi (la «famosità» a cui aspirava l’amante di Bova, priva di talenti che non siano il capitale estetico).

Due «rich kids» (and kitsch), di Milano, «la Marti» e «il Dede», piccoli emblemi di una capitale immorale, quale la stiamo riscoprendo con le inchieste giudiziarie, dove il lavoro quale fonte seria e sana di reddito è stato espunto dalla finanza immobiliare e dalla rendita, di cui questi giovani godono, con il consumarsi definitivo del ruolo di guida della grande borghesia cittadina. Ovvero, per citare un altro periodo della storia meneghina – in pratica la «genealogia» e l’origine storica di queste sciagurate tendenze –, «sotto il vestito niente», cosa che, peraltro, nel caso di molte influencer è già stato archiviato dalla «biopolitica della carne nuda» e dell’ostentazione (para)pornografica, che ha convertito una parte dei social in un purgatorio per voyeurs.

Massimiliano Panarari, sociologo della comunicazione, Università di Modena e Reggio Emilia

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@News in 5 minuti

A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.