La Russia e la strategia del terrore

I crimini di guerra rappresentano uno degli abomini peggiori nell’ambito di quella condizione bellica che si è cercato, per quanto possibile, di normare lungo il tempo, senza - come ovvio e infelicemente - essere mai riusciti a poterlo fare. Come ha illustrato in maniera esemplare Sigmund Freud, malauguratamente la civiltà costituisce una patina e un diaframma sottili che i conflitti e la violenza spazzano via.
Ciò che colpisce infatti, e risulta agghiacciante, è il fatto che, di recente, la barbarie incalza e travolge sempre più chi si sia cercato di erigere per contenerla. I crimini di guerra contro i civili ne sono, giustappunto, un esempio tragicamente evidente.
Una «attività» nella quale si sta particolarmente distinguendo l’autocrazia russa, che ne ha perpetrato l’ennesima strage, pochissimi giorni fa, nella città ucraina di Sumy (compresi 2 bambini). Una strategia del terrore basata sul «doppio colpo»: massacro dei civili, attesa dei soccorritori e nuova serie di colpi contro di loro per sterminarli.
Una strage avvenuta, per rendere ancora più ignobile quanto avvenuto, nel corso della Domenica delle Palme, a dimostrazione di quanto sia falso e squallidamente propagandistico ogni riferimento da parte di Vladimir Putin alla sua presunta difesa del cristianesimo ortodosso. Lo spregio russo nei confronti di qualunque pietà e di ogni elemento di verità nel corso di questa guerra scatenata dal Cremlino offre una cartina di tornasole utile per osservare gli atteggiamenti irresponsabili di vari leader politici in questa fase storica.
A partire, chiaramente, da quello bizzoso di Donald Trump, che aveva annunciato - al di là di ogni immaginazione (e pudore...), e all’insegna di un notevole tono rodomontesco - che all’indomani della sua elezione sarebbe riuscito a ottenere una tregua (anzi, la «pace») nel giro di 24 ore.
E lo si è visto per l’appunto... Non pago di volere smembrare l’Ucraina, convertendola altresì in una neocolonia mineraria, il presidente Usa ha dichiarato che la guerra «è colpa di Biden, Zelensky e Putin», come se fossero ugualmente responsabili.
E «bontà sua» che si è ricordato di citare, en passant e da ultimo, il dittatore russo che si sta palesemente facendo gioco di lui, ma con il quale l’empatia (chiamiamola così...) continua a fluire copiosamente a dispetto di una serie di dati di fatto ai quali, infatti, il trumpismo antepone la sua postverità.
E non è il solo in materia, anche se altri preferiscono svicolare sul ricorso a tecniche comunicative da «mondo alla rovescia», mentre Trump lo rivendica direttamente e sfacciatamente. E l’invasione dell’Ucraina rappresenta, ancora una volta, il sismografo della manipolazione o, come nella fattispecie precisa, delle omissioni dei leader, a partire, nel caso italiano, dalla «strana coppia» formata da Giuseppe Conte e Matteo Salvini.
Entrambi completamente silenti – a dispetto della loro consueta loquacità contro la Commissione europea, gli Stati Uniti e la Nato pre-Trump, e il presunto «bellicismo» di tutti gli altri – sull’ultima strage putinista. Si tratta del ritorno di quella «corrispondenza di amorosi sensi» che, non casualmente, aveva partorito il Conte 1, e mostra la persistenza di un (robusto) filo gialloverde.
Capace di cavalcare con disinvoltura un certo sentimento diffuso nel Paese insieme alle sincere speranze di pace - al centro, peraltro, anche della strategia del Pd schleiniano.
Ma, per onestà intellettuale - e qui si parla, appunto dei leader - bisognerebbe tenere rigorosamente separato il pacifismo, nelle sue varie declinazioni, da quello che si rivela invece, in tutto e per tutto, «pacifintismo» (e che, in alcuni casi, presenta anche delle relazioni molto pericolose con il rossobrunismo). Ma dell’onestà intellettuale un certo mondo politico odierno non conosce neppure il simulacro...
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