Le parole imprevedibili del presidente americano Donald Trump

Gli investitori cominciano a vendere il debito Usa, la cui riduzione attraverso il riacquisto da parte dei cittadini americani costituisce uno degli obiettivi prioritari di Donald Trump. Col risultato che i rendimenti dei treasury risalgono, e questa non è certo una buona notizia per il presidente dei sedicenti miracoli. Il protezionismo isterico ed estremo non rappresenta mai una buona soluzione per alcunché, e un certo allarme si sta diffondendo anche tra corporation e finanza - dove, peraltro, in tanti, se non tutti, si sono prodigati nel sovvenzionare la seconda campagna del tycoon.
Che se ne sia fatto d’un tratto convinto o che - come molti sospettano in queste ore - vi sia a monte un preciso disegno della Casa Bianca, ecco allora che The Donald ingrana una clamorosa retromarcia e congela i dazi per tutti, eccezion fatta che per la Cina.
Una cosa resta certa, al di là delle ormai imprevedibili direzioni che potrebbero prendere nei prossimi tre mesi le trattative riaperte con il resto del mondo: queste politiche commerciali fondate sui dazi - annunciati, applicati o sospesi come spade di Damocle che siano - sono orientate, anche e soprattutto in termini comunicativi, verso destinatari ben diversi dalle élites finanziarie.
Ovvero quei settori delle classi lavoratrici che hanno plebiscitato Trump e a cui sono stati appunto promessi dei miracoli difficilmente realizzabili. In attesa dei quali (aspetta e spera…), il presidente intensifica a più non posso la propaganda e prosegue in una incessante escalation dei toni.
Come nelle ore scorse, con una serie di dichiarazioni che appaiono alla stregua dell’ennesimo punto di non ritorno - ma, si può essere al riguardo facili profeti, continueranno vieppiù - indirizzate alla volta delle nazioni che tentano di trattare sui dazi alla spicciolata. Una strategia controproducente, per l’appunto, a cui segue, con ulteriore generazione di caos, una smentita che è almeno legittimo considerare studiata a tavolino.
Trump: "These countries are calling us up. Kissing my ass." pic.twitter.com/a52SfBnsf8
— Aaron Rupar (@atrupar) April 9, 2025
«Ve lo dico io, questi Paesi ci stanno chiamando per baciarmi il culo. Muoiono dalla voglia di fare un accordo», Trump dixit durante la cena di gala del National Republican Congressional Committee. E, in un certo senso, Trump docet, poiché per lui la comunicazione è la prosecuzione della politica con altri mezzi, per parafrasare von Clausewitz.
La descrizione della realtà da parte di Trump e dei trumpisti risponde a una strategia propagandistica di sua ricreazione e rifondazione. Pienamente in sintonia con la cultura sociale postmoderna, come hanno evidenziato alcuni osservatori: con il tycoon è sbarcata alla Casa Bianca ed è arrivata al potere la postverità.
Basti citare, in materia, l’affaire Peter Navarro, il senior advisor per l’economia del presidente, che per sostenere le sue tesi citava un inesistente economista, inventato di sana pianta facendo l’anagramma del proprio nome.
Un piano di forma comunicativa (fasulla) che si vuole fare sostanza - purtroppo riuscendo nel suo intento –, e vuole raccontare al mondo lo storytelling di una sfilza di nazioni in ginocchio, disposte a tutto pur di ottenere qualche concessione per il proprio export. Del resto, come dovrebbe essere ormai evidente a tutti, nell’ambito della trumpolitics non esistono alleati, ma solo subordinati e servi (della gleba).
Un dato di fatto che dovrebbe indurre i sovranisti nostrani a rivedere le loro posizioni tanto estasiate nei confronti dell’inquilino della Casa Bianca, il quale non fa sconti a nessuno – anche in fatto di mosse imprevedibili – benché li omaggi di qualche carezza verbale e li supporti elettoralmente (sempre a parole, che costano poco e rendono molto).
«A buon intenditor…», ma non basterà l’evidenza, giustappunto, a modificare la sudditanza (in senso letterale) dei cosiddetti «Patrioti» nei riguardi degli Stati Uniti trumpisti. Il trionfo del «Carnevale populista» che fa ridere i suoi leader - e pure deridere gli altri capi di Stato e primi ministri, come ha sfrontatamente detto il capo della Casa Bianca –, ma lascia l’amaro in bocca e preannuncia tempi catastrofici per l’Occidente.
Anzi, per gli Occidenti spaccati e divisi, a causa del solito, «ineffabile» Trump, impressionante performer dell’insulto. Oltre che della piroetta, per una volta, non solo mediatica.
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