Parigi e Riad, due tavoli distinti per la pace in Ucraina

Sono due tavoli strettamente intrecciati – quello europeo a Parigi e quello russo-statunitense a Riad. Con elementi sia di complementarità sia di contrapposizione. E nel contesto di una frattura tra gli Stati Uniti e l’Europa forse mai così acuta e profonda nella storia delle relazioni transatlantiche contemporanee. In Arabia Saudita, Mosca e Washington formalizzano il dialogo aperto dalla lunga telefonata tra Putin e Trump. Che a rappresentare gli Usa vi siano sia il Segretario di Stato che il Consigliere per la Sicurezza Nazionale dà la cifra di quale sia l’importanza, anche simbolica, che Trump attribuisce a questo dialogo.
Sulla base del quale si delineerà un piano di pace per l’Ucraina i cui contorni generali sono già stati brutalmente delineati – a partire dall’idea, pienamente accettata a Washington, che vi saranno delle concessioni territoriali alla Russia – ma di cui andranno nel caso definiti numerosi, complicati dettagli. Nella logica imperiale e molto «transazionale» che pare contraddistinguere la politica estera di Trump, l’Ucraina post-bellica – le sue risorse naturali e le sue tante infrastrutture da ricostruire o potenziare – dovrebbe inoltre diventare terra di conquista economica per gli Usa e alcune loro imprese. Con la ruvidezza che lo contraddistingue, Trump non nasconde e anzi ostenta questo ipotetico baratto, nel quale Kiev acconsentirebbe a tutto ciò in contropartita degli ingenti aiuti ricevuti e per ottenere da Washington una qualche garanzia e protezione futura.
E qui entra in ballo l’Europa. Trump e il suo segretario della Difesa Hegseth sono finora stati molto espliciti nell’escludere qualsiasi diretto coinvolgimento militare statunitense nella futura difesa dell’Ucraina. L’ingresso di quest’ultima nella Nato non è a sua volta all’ordine del giorno e comunque bloccherebbe sul nascere il negoziato con la Russia. Quella atlantica e quella unilaterale statunitense costituiscono le due sole, credibili garanzie securitarie per Kiev. La terza, quella europea, per il momento non lo è, tanto da un punto di vista politico quanto da uno più banalmente operativo. E però a quello paiono oggi puntare gli Usa. Per alimentare tensioni future tra Russia e Europa; per evitare, appunto, un proprio diretto coinvolgimento; per riaffermare la gerarchia esistente nell’Alleanza Atlantica, con gli europei a farsi carico degli oneri di accordi sui quali hanno poca o nulla voce in capitolo.
È questa la complementarità potenziale dei due tavoli. Una complementarità straordinariamente sbilanciata a favore degli Usa, che sanno però come l’inazione non sia un’opzione per un’Europa preoccupata dal revisionismo russo e consapevole che è in atto una svolta storica, nella quale con Trump gli Stati Uniti hanno deciso di dismettere il loro ruolo egemonico di federatore della Comunità Atlantica. Europa che si trova quindi in un angolo.

Non fare nulla significa abbandonare l’Ucraina al suo destino; accettare un impegno diretto per garantire la sicurezza di Kiev – al di là della sua incerta praticabilità – rischia di trasformarla in una semplice pedina del disegno degli Stati Uniti ovvero di metterla in rotta di collisione con la Russia (un impegno reale dovrebbe accettare il rischio concreto che truppe europee siano chiamate a intervenire in caso di violazione dei termini dell’accordo).
After bringing together several European leaders, I have just spoken with President @realDonaldTrump and then with President @ZelenskyyUa.
— Emmanuel Macron (@EmmanuelMacron) February 17, 2025
We seek a strong and lasting peace in Ukraine. To achieve this, Russia must end its aggression, and this must be accompanied by strong…
Anche uno scatto di coraggio e di orgoglio, come quello prospettato da Emmanuel Macron – un gruppo ristretto di Paesi europei che uniscono le forze e cercano di rilanciare la loro integrazione nell’ambito cruciale della difesa e sicurezza – richiede tempi lunghi che mal si conciliano con l’accelerata impressa da Trump e che non sembrano trovare oggi l’appoggio di tante opinioni pubbliche europee, con l’eccezione di Polonia, baltici e, forse, scandinavi.
Coraggio e orgoglio, soprattutto a Bruxelles, si fatica però a intravederli, mentre tanti attori europei ancora si baloccano con l’idea di poter preservare una qualche relazione privilegiata con gli Usa o vedono in quanto sta avvenendo un’ulteriore opportunità per indebolire non solo l’Unione Europea ma la stessa idea di unità europea.
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