Omicidi mirati, una strategia israeliana

Nella parte meridionale di Ramallah c’è una via intitolata a Yahya Ayyash, un ingegnere elettronico divenuto una leggenda a Gaza e in Cisgiordania, grazie alle sue competenze tecniche asservite alla strategia stragista di Hamas.
Fu lui a importare il modello degli attacchi suicidi all’interno della complessa compagine militante palestinese. Nell’arco di poco meno di due anni riuscì ad organizzare una lunga sequela di attacchi in Israele in uno dei momenti più sensibili della storia del Medio Oriente: il 1993, quando erano in discussione gli Accordi di Oslo e una risoluzione della questione palestinese sembrava ancora possibile.
Fondatore delle Brigate Ezzedin al-Qassam, uno dei bracci armati dei Hamas, entrò presto nella lista nera dei servizi di intelligence israeliani. Fu Shimon Peres a firmarne la condanna a morte e a dare mandato allo Shin Bet di organizzarne l’esecuzione. Molti erano stati i tentativi di colpire «l’ingegnere», tutti senza successo. Fino al 5 gennaio 1996, quando preso in prestito un cellulare Motorola da un suo amico d’infanzia, nel corso di una chiamata il telefono esplose, uccidendolo.
Gli israeliani erano riusciti a inserire all’interno del telefono 50 grammi di esplosivo con un detonatore che venne azionato a distanza da un velivolo. L’omicidio mirato di Ayyash rimarcava due cardini della strategia di Tel Aviv: perseguire in ogni dove e con ogni mezzo i terroristi responsabili della morte di ebrei. Una strategia che affondava le radici nell’Haganah, l’organizzazione paramilitare ebraica in Palestina sorta dopo la Grande Guerra e fatta propria dallo Stato di Israele sin dalla sua fondazione, prima contro quei nazisti, che ebbero qualche ruolo nell’Olocausto, poi verso i terroristi, a partire da quelli di Settembre Nero, responsabili del massacro di Monaco del 1972.
Una sorta di vendetta, sì, anche a distanza di tempo ma soprattutto, nell’ottica israeliana, i motivi portanti erano da un lato tentare di fermare le azioni terroristiche, uccidendone gli ideatori o i mandanti, dall’altro riscattare il fallimento dell’intelligence, che è palese dietro la riuscita di ogni attentato. Sebbene sia purtroppo impossibile riuscire a garantire con certezza assoluta il non verificarsi di un attacco terroristico, quello del 7 ottobre 2023 che portò al massacro di 1.200 tra civili e militari israeliani e nel rapimento di altre 250 persone fu talmente di ampia portata che richiese indubbiamente una pianificazione di mesi, se non di anni da parte di Hamas e parve impossibile che nessuno dei molti apparati di sicurezza israeliani non avesse avuto contezza di ciò che stava per accadere.
Al di là di qualsiasi supposizione dietrologica, che non ha alcun riscontro logico, il fallimento dell’intelligence israeliana fu talmente evidente da richiamare alla mente quello della Guerra del Kippur del 1973. Ed è proprio nella volontà di riscattare quel fallimento, così come di lanciare un fermo messaggio politico che vanno lette le ultime operazioni contro Hezbollah. Nonostante il Partito di Dio, per ordine dello stesso Nasrallah, fosse passato a utilizzare sistemi di recentissima acquisizione a bassa tecnologia, nel tentativo di evitare che i suoi leader e militanti potessero essere rintracciati e assassinati, sostituendo agli smartphone con dei cercapersone e walkie talkie, ciò non è stato sufficiente a garantire l’incolumità dei miliziani.
Maximum pressure should be put on Hamas. pic.twitter.com/ll92rWUHl3
— Benjamin Netanyahu - בנימין נתניהו (@netanyahu) September 2, 2024
Privi di funzionalità di localizzazione, di microfoni o fotocamere e con sms dai caratteri assai limitati, i cercapersone erano considerati difficili da hackerare. Sembra tuttavia che non si sia tenuto conto della possibilità che anche tali dispositivi, se adeguatamente manomessi, potessero essere trasformati in ordigni. Sulla base dei video che circolano in rete pare che in un primo momento sia stato inviato un messaggio che ha indotto i possessori dei cercapersone a guardare lo schermo e che poi sia stato mandato in ulteriore impulso che li abbia fatti detonare.
lsraeli warplanes bombed a school east of Gaza City yesterday, killing 8 Palestinians, including 5 children and 2 women. pic.twitter.com/VYEebb1Ayn
— TIMES OF GAZA (@Timesofgaza) September 19, 2024
La mano che ha organizzato questa duplice operazione ha dimostrato, ancora una volta, di avere entrature, spesso celate o addirittura ignorate, in aziende e compagnie anche internazionali e una rete di spionaggio capace di realizzare un attacco così audace, sofisticato e coordinato. Il messaggio politico è chiaro: riaffermare la propria capacità di colpire in profondità il nemico e, nel contempo, ribadire indirettamente la forza dello Stato di Israele, sia da un punto di vista militare, ma soprattutto economico-industriale e tecnologico, anche dopo un anno di guerra che ha messo a dura prova la capacità produttiva nazionale. Sul piano più strategico appare sempre più probabile l’inizio di una nuova fase della guerra, con il fronte che si sta spostando verso il settore settentrionale, verso il Libano.
Il significato è duplice: le forze di Hamas sono state drasticamente ridotte dalle operazioni dell’Esercito israeliano e senza il sostegno di Hezbollah, l’organizzazione di Sinwar potrà essere presto sconfitta definitivamente. Prerequisito essenziale da parte di Israele per ogni possibile piano di pace.
Michele Brunelli – Docente di Storia ed istituzioni afroasiatiche, Università di Bergamo
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