Epilogo al veleno per lo shutdown e rispunta il caso Epstein

A un primo sguardo, di sconfitta del partito democratico si tratta, come evidenzia anche la rabbiosa reazione di molti suoi elettori e leader influenti
Il congresso degli Stati Uniti - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il congresso degli Stati Uniti - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Si è infine concluso il più lungo «shutdown», quasi un mese e mezzo, nella storia degli Stati Uniti: la sospensione di numerose attività del governo federale, e la messa in congedo non retribuito di decine di migliaia di suoi dipendenti, a causa dell’incapacità del Congresso di votarne il finanziamento.

Alla fine, uno sparuto gruppo di senatori democratici (sette più un indipendente che vota con loro, Angus King, del Maine) ha defezionato e – contestualmente – permesso che si raggiungesse la soglia decisiva, 60 Senatori su 100, necessaria per terminare la discussione, superare l’ostruzionismo, e mettere il provvedimento al voto.

A un primo sguardo, di sconfitta del partito democratico si tratta, come evidenzia anche la rabbiosa reazione di molti suoi elettori e leader influenti (il governatore della California, Gavin Newsom ha definito l’accordo «patetico»). I democratici non ottengono la loro richiesta fondamentale, che aveva motivato lo «shutdown»: quella di ripristinare i sussidi ai premi assicurativi necessari per avere la copertura sanitaria. Senza i quali i costi dell’assicurazione per i cittadini saliranno di molto e, combinandosi con i tagli alla sanità pubblica, avranno un forte effetto per milioni di americani. Ottengono, quello sì, la fine del congedo dei dipendenti federali e il pagamento del loro salario arretrato, oltre che l’attivazione del programma Snap con cui si finanzia l’acquisto di generi alimentari da parte di persone e famiglie che stanno sotto la soglia della povertà. Misure scontate, queste, a cui si aggiunge poco altro.

E allora perché questa capitolazione? E davvero di inequivoca sconfitta democratica si tratta? È chiaro che il prolungamento dello «shutdown» non stava producendo gli esiti sperati. Trump si è non solo rifiutato d’intavolare un qualsivoglia negoziato, ma si è anche completamente disinteressato dalla questione, passando gran parte del suo tempo lontano da Washington, spesso nella sua residenza a Mar-a-Lago. Facendo chiaro che la crisi gli avrebbe offerto il destro per procedere a ulteriori licenziamenti di tanti dipendenti pubblici. I sondaggi indicavano come anche su questo un’opinione pubblica fortemente polarizzata si schierava secondo logiche strettamente partitiche, con una maggioranza di americani che imputava la crisi a entrambi i partiti: a una politica, e a istituzioni, ulteriormente delegittimate, alimentando così un populismo antipolitico dal quale sono i democratici ad avere più da perdere.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Soprattutto, uno sguardo più attento evidenzia come la fine dello «shutdown» apre fronti pericolosi, potenzialmente molto pericolosi, per i repubblicani e per Trump. L’accordo prevede che in dicembre il Senato si debba pronunciare sui sussidi all’acquisto di assicurazioni mediche. La questione della Sanità tornerà al centro della discussione, insomma, ed è tema elettoralmente vincente per i democratici, con un’ampia maggioranza di elettori critica nei confronti dei tagli ai sussidi, e all’offerta di sanità pubblica, prevista dall’ultima legge di bilancio. Il compromesso, inoltre, finanzia le attività federali solo sino alla fine di gennaio quando, in assenza di compromessi, la crisi potrebbe riaprirsi.

Infine, il Congresso torna in sessione e il Presidente repubblicano della Camera Mike Johnson, è finalmente obbligato a far giurare la deputata dell’Arizona Adelita Grijalva, eletta quasi due mesi fa e il cui insediamento Johnson ha continuamente posticipato con il pretesto dello «shutdown». Grijalva che si era impegnata a fornire il voto mancante per la petizione con cui una maggioranza dei membri della Camera chiede di rendere pubblici i documenti relativi al finanziere Jeffrey Epstein, come sta avvenendo in queste ore.

Documenti, questi, sul traffico di prostituzione minorile gestito da Epstein, che coinvolge numerose persone, incluso lo stesso Donald Trump. Il contenuto di questo materiale, la natura del coinvolgimento del Presidente, e lo scandalo potenziale che ne deriva, sono tutti da verificare. Di certo, però, è che in questi mesi Trump e il suo dipartimento della Giustizia hanno fatto di tutto per evitare che ciò avvenisse.

Mario Del Pero – Docente di Storia internazionale, Sciences Po Parigi

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