Del Pero: «Con Trump crisi costituzionale e politica estera neo imperiale»

Mario Del Pero è professore di storia internazionale e storia degli Stati Uniti a SciencesPo-Parigi. È autore di numerosi libri: l’ultimo è «Buio americano. Gli Stati Uniti e il mondo nell’era Trump» edito da Il Mulino. Domani alle 11 sarà al Mita - Museo internazionale del tappeto antico in via Privata de Vitalis, 2bis per l’incontro «Usa: democrazia sdrucita a stelle e strisce», organizzato nell’ambito del Festival della Pace.
Professor Del Pero, è passato quasi un anno dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Cos’è successo in questi dieci mesi?
Credo sia successo tantissimo a livello sostanziale e ancor più a livello simbolico e retorico. Abbiamo un presidente che ha battuto quasi tutti i record di ordini esecutivi e decreti presidenziali e abbiamo credo il Congresso, inteso come organo legislativo, più improduttivo dell’epoca moderna, perché a parte l’obbligatoria legge di bilancio non ha praticamente legiferato e quindi si governa con un uso – e credo un abuso – degli strumenti di governo esecutivi. È una crisi costituzionale perché c’è uno scontro in atto tra il potere esecutivo e quello giudiziario. Allo stesso tempo c’è uno scontro tra il potere federale e il potere degli Stati. Poi è evidente la politica aggressiva di arresti ed espulsioni di immigrati messa in atto da Trump. Ma non dimentichiamoci che è passata anche una legge di bilancio molto radicale che rende permanente una serie di tagli alle tasse, rovesciando però le politiche pubbliche dei quattro anni precedenti. Inoltre prevede un taglio significativo ad alcuni voci di spesa pubblica, in particolare alla sanità. Sul piano internazionale abbiamo uno scardinamento di quel che rimaneva delle strumenti e delle logiche della governance globale e del diritto internazionale: l’abbiamo visto su Gaza, dove l’Onu non è stato mai coinvolto.

In merito a questo. Quanto è stata importante la figura di Trump per la pace a Gaza?
Gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo decisivo. C’è un’alleanza quasi organica, simbiotica tra la destra israeliana di governo e la destra americana. È stato Trump l’attore fondamentale che ha trovato una soluzione alla crisi di Gaza. Poi possiamo ragionare sul fatto che sia un tipo di pace che pone molti problemi.
Rimaniamo sulla politica estera degli Stati Uniti, cosa sta succedendo in America Latina?
In Venezuela si sta esercitando una pressione massima militare con l’obiettivo di far cadere un regime. È un metodo neo imperiale. Se vogliamo guardare al passato si deve tornare agli inizi del Novecento, quando gli Stati Uniti mandavano militari, banchieri ed esperti a governare di fatto alcuni di questi Paesi, a fare la diplomazia del dollaro e a usare le cannoniere quando è necessario, per ripristinare l’ordine e per trarne dei vantaggi.
E l’Italia che rapporto ha con gli Usa?
In termini politico ideologici l’Italia è uno degli interlocutori privilegiati di Trump: in Europa siamo secondi solo a Orbán. La convergenza ideologica non è assolutamente da sottovalutare, ma credo che relazionarsi singolarmente con gli Stati Uniti sia molto velleitario per qualsiasi Paese europeo, anche per la Germania. Insomma, non si può uscire da una cornice europea. Se, per esempio, prendiamo in considerazione i dazi c’è una posizione comune sul commercio da cui non ci si smarca.
Chiudiamo con il fatto di cronaca più recente, cosa simboleggia la vittoria di Zohran Mamdani a New York?
Per prima cosa possiamo dire che una certa componente di sinistra, di socialisti democratici come amano chiamarsi loro, oggi ha un peso e una rappresentanza maggiore dentro il partito democratico. Poi è evidente che l’elemento generazionale sta entrando pienamente in un partito ancora molto anziano, a lungo sclerotizzato. Ricordiamo però che in New Jersey e Virginia hanno vinto due candidate democratiche molto più moderate. Se i democratici riescono a tenere unite queste realtà vincono, altrimenti a trionfare è il culto di Trump, che nel partito repubblicano mette per ora tutti d’accordo.
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