Manovra tra lamentele e populismo all’italiana

Ancora un paio di giorni e la Legge di Bilancio sarà approvata. In extremis, con affanno, come sempre, quest’anno anche col rischio di un ricorso all’esercizio provvisorio. Puntualmente ci si lamenta della mancanza di un confronto serio tra maggioranza e opposizione, così come del ricorso massiccio ai voti di fiducia.
Parlamento esautorato e percorso accidentato - si deplora. Il fatto è che così fan tutti una volta al governo, dopo aver lamentato dall’opposizione (Meloni compresa) la scorrettezza istituzionale commessa. Se così fan tutti, c’è da dedurne che non è solo questione di buona volontà, ma anche di un meccanismo procedurale che in qualche modo spinge i partiti a tradire i buoni propositi originari. Molto dipende dal fatto che la Legge di Bilancio è l’atto politico più importante dell’annata parlamentare. Decide le risorse finanziarie e indica le dotazioni per ciascuna voce di bilancio. Naturale che renda il confronto molto serrato, che governo e opposizione sfoderino tutte le armi in loro possesso per avere la meglio. Si rischia - anzi, puntualmente si verifica - la prova di forza. Le opposizioni ricorrono ad una raffica di emendamenti, la maggioranza ai voti di fiducia.
Una classe dirigente seria saprebbe mettere a fuoco il problema e individuarne la soluzione. Non c’è da farne conto. Sappiamo che fine fanno da noi i tentativi di aggiornamento delle procedure istituzionali. Grandi promesse, pochi risultati. Aiuterebbe molto a migliorare le cose un gentlement agreement stipulato tra le forze politiche, come avviene in molte democrazie ben funzionanti. Non è il caso nostro. Da noi regna il conflitto perenne. Il risultato è che nel confronto parlamentare prevale su ogni altra considerazione la propaganda.
I partiti sfuggono così alle loro responsabilità. Il vero problema dell’Italia da ormai un trentennio è di essere il fanalino di coda delle economie sviluppate. Crescita al lumicino, stipendi fermi, welfare in restrizione, sanità inadeguata, scuola con indici di performance sempre più deprimenti. Sono queste le sofferenze e di questo si dovrebbe discutere e su questo decidere quando si imposta il bilancio dell’anno; ossia come rimediare alle gravi inadeguatezze che hanno bloccato il nostro sviluppo nei settori chiave di un’economia del terzo millennio: scuola, ricerca, tecnologia. Esattamente quello che fanno le nazioni che eccellono.
Di tutto ciò nel dibattito parlamentare sulla Legge di Bilancio non s’è fatto parola. La maggioranza si vanta di avere portato l’occupazione a livelli record con un milione di nuovi assunti. Non spiega però perché il Pil non si sia mosso di un decimale.
L’opposizione lamenta l’arretramento delle prestazioni della sanità e della scuola, il mancato miglioramento del trattamento pensionistico, l’aumento della popolazione in stato di povertà, l’alto costo dell’energia. Gravi problemi esigerebbero cure radicali, purtroppo impopolari. Meglio lamentarsi senza prospettare soluzioni praticabili. Sono finite così sotto tiro dell’opposizione anche le poche misure positive della Legge di Bilancio: i 7 miliardi alla sanità, il contenimento della spesa che permette all’Italia il rientro dalla procedura europea sull’eccesso di disavanzo, l’Industria 5.0 che eroga incentivi alle aziende che investono sul digitale e sulla transizione energetica.
Il governo, da parte sua, ha pensato bene di sprecare risorse premiando qualche migliaio di pensionati, rimandando di un mese il loro ritiro dal lavoro nonché di procedere con la rottamazione delle cartelle: puro calcolo elettorale. Il populismo non gode di buona fama nel dibattito pubblico. Gode di buona vitalità nei comportamenti dei partiti.
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