Maduro ha perso il sostegno della sinistra sudamericana

L’esito delle elezioni è fonte di instabilità in Venezuela: gli Usa hanno assunto una posizione attendista, ma lo chavismo sembra al capolinea
Nicolás Maduro durante un comizio a Caracas - Foto Epa/Miguel Gutierrez © www.giornaledibrescia.it
Nicolás Maduro durante un comizio a Caracas - Foto Epa/Miguel Gutierrez © www.giornaledibrescia.it
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A oltre due settimane dal voto la situazione del Venezuela è sempre più complessa. Nicolás Maduro è stato rieletto presidente per la terza volta con il 51,20% pari a poco più di 5 milioni di voti, mentre Edmundo González Urrutia, leader dell’opposizione, ha ottenuto il 44,20%, pari a circa 4 milioni e mezzo di voti. Sarebbero i risultati «ufficiali» ratificati dal Supremo Tribunale Elettorale venezuelano poco dopo l’esito finale. Sin dalla campagna elettorale è stato chiaro che nessuno dei contendenti avrebbe riconosciuto la sconfitta, anticipando così l’impasse in cui siamo oggi. E non poteva essere altrimenti.

La guerra delle narrative vedeva, in caso di vittoria di Maduro, le opposizioni già paventare la manipolazione dei risultati elettorali e la repressione governativa, in ragione della certezza che il paese «reale» era ormai dalla loro parte. In caso di sconfitta, invece, era Maduro a minacciare che la transizione da un governo all’altro sarebbe finita in un «bagno di sangue», dato che l’unico risultato possibile era - in accordo con l’ideologia ufficiale dello «Chavismo»- la vittoria del leader, espressione genuina del «popolo» venezuelano, l’alfiere della democrazia diretta contro il candidato dell’opposizione, Urrutia, espressione del golpismo fascista delle élite economiche e politiche, appoggiate dall’imperialismo nordamericano.

Insomma, nessuna legittimazione dell’avversario politico da entrambi i lati. La logica conseguenza dell’incerto esito elettorale è stata che gli oppositori, guidati da Urrutia e soprattutto dall’ex deputata María Corina Machado, hanno contestato la vittoria di Maduro, il quale è stato invitato ad accogliere la richiesta della comunità internazionale, con a capo l’ONU, di garantire senza temporeggiamenti la trasparenza del processo elettorale esibendo le prove della sua vittoria.

Le proteste a Caracas contro i risultati ufficiali delle elezioni in Venezuela - Foto Epa/Miguel Gutierrez © www.giornaledibrescia.it
Le proteste a Caracas contro i risultati ufficiali delle elezioni in Venezuela - Foto Epa/Miguel Gutierrez © www.giornaledibrescia.it

Sebbene il sistema elettorale venezuelano sembri affidabile, non è convincente l’argomento del Consiglio Elettorale, organo controllato dal governo, che è stato messo fuori uso da un attacco cibernetico al momento della trasmissione dei dati. Nel frattempo, gli oppositori hanno dichiarato di aver pubblicato on line gli atti delle votazioni per mostrare che Urrutia avrebbe vinto con il 67%. Di conseguenza, ritengono che lo sfidante di Maduro assumerà le presidenza del Paese nel gennaio del 2025. Lo scontro si sta sviluppando ora su differenti livelli intrecciati. Mentre la battaglia mediatica continua ad alimentarsi delle versioni contrastanti, sul piano politico-sociale, il governo Maduro sta reprimendo duramente il dissenso. Le cifre, seppur manipolate dagli attori in gioco, ci dicono di 23 morti, circa 200 feriti e oltre 2000 detenuti tra i manifestanti nelle piazze delle principali città.

Ma è soprattutto dai rapporti internazionali che passa il futuro del Venezuela, visto che l’opposizione non può spingere oltre un certo limite l’onda interna di proteste. Gli Stati Uniti stanno adottando una strategia di attesa, in considerazione di due motivi principali. Il primo è che sul petrolio venezuelano ci sono anche le mire degli USA, ragion per cui mantenere la prudenza sarebbe anche un modo per concorrere con la Russia e la Cina, anch’esse interessate al petrolio venezuelano, oltre che a mantenere l’area instabile. Il secondo motivo sono le elezioni presidenziali americane in programma a novembre. Qualsiasi dichiarazione affrettata può spostare voti.

Esiste una forte comunità latinoamericana nel Sud degli USA che desidera la fine del regime di Maduro ed è ben rappresentata nel Congresso. Gli USA hanno quindi affidato ai governi progressisti di Messico, Colombia e Brasile il ruolo di mediatori con Maduro. Intendono far capire al presidente venezuelano che lo «chavismo» non gode più dell’appoggio della sinistra latinoamericana. Non a caso dopo Cile, Argentina ed Ecuador anche Brasile e Colombia hanno sottoscritto la risoluzione dell’Osa (organizzazione degli Stati americani) che chiede il rispetto dei diritti umani e una verifica imparziale dei voti.

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