L’incommensurabile potere del silenzio

«Abbiamo parole per vendere / parole per comprare / parole per fare parole / ma ci servono parole per pensare.
Abbiamo parole per uccidere / parole per dormire / parole per fare solletico / ma ci servono parole per amare.
Abbiamo le macchine / per scrivere le parole / dittafoni, magnetofoni / microfoni / telefoni
Abbiamo parole / per far rumore, / parole per parlare / non ne abbiamo più».
Gianni Rodari da Il secondo libro delle filastrocche (Einaudi, 1985)
«In principio era il Verbo», ci ricorda il Vangelo di Giovanni. «Le parole sono pietre», affermava Carlo Levi.
La parola, il Verbo, il Logos, suono e vibrazione cosmica creativa, solo l’essere umano la possiede e la usa e con essa traduce pensieri, racconta, stuzzica e seduce, ma anche ferisce e, a volte, uccide. Un’abilità che distingue l’uomo da tutte le altre creature viventi. La creazione di un vocabolario e di una lingua ha permesso la comunicazione che, grazie al pollice opponibile, è diventata poi scrittura, portando l’uomo primitivo dai graffiti nelle grotte ai likes sugli smartphones: vite e storie evanescenti, nebulizzate come aerosol nello spazio del Web.
Sull’invenzione della parola molto è stato detto e scritto e avremo modo di tornarci. Più affascinante è invece avvicinare quello che, ad una prima lettura, sembra il suo opposto: il Silenzio: lo spettro di ogni mediatore, la parte più inquietante di ogni comunicazione. Il Silenzio è la camera gestazionale della parola: il luogo dove la parola si crea e si prepara al battesimo della verbalizzazione. Un luogo sacro, carico di energia, carico di verità. Lo spazio interiore che attende di farsi voce.
Nel suo bellissimo saggio – Il gioco del Silenzio, edito da Mondadori – Carlo Sini ci ricorda che: «(...) è nel silenzio e dal silenzio che l’Io, il mondo e la parola emergono, tra loro originariamente uniti. Così come il mondo non è mai davanti a me, ma sempre mi circonda e mi attraversa, altrettanto accade alla parola. Essa non parla se non dal silenzio del mondo e del silenzio del mondo: quel silenzio che la parola custodisce e reca in sé; quel silenzio che è così raro e difficile saper ascoltare».
Chi controlla il pensiero e monopolizza la comunicazione riduce al minimo i momenti di silenzio e le pause di riflessione (oltre al dissenso), come accade in certe trasmissioni televisive o talk show di politica: il silenzio non «buca il video» e gli ascolti sono solo in termini di share. Sappiamo bene che in natura non esiste un silenzio assoluto, ma esiste invece un silenzio assoluto dell’anima: quello del dolore, pieno di voci che da dentro lanciano grida soffocate; quello dell’amore, fatto di sguardi e di paure e un silenzio dell’odio e del rancore, che scava dentro l’anima terribili trincee. Si può parlare per non dire (il che non equivale a non dire nulla) e si può stare in silenzio per dire qualcosa.
Spesso ciò che viene detto non rappresenta ciò che la persona sente, mentre il non detto la rispecchia perfettamente. Dare spessore al senso nascosto delle parole mettendosi fra la parola pronunciata e quella non pronunciata è il compito più difficile, ma inebriante, di ogni mediatore: la sfida di trarre dallo stesso silenzio che ha tolto la parola l’impeto che la restituisce. La terra del silenzio la immagino solcata da carovanieri che trascinano sacchi brulicanti di parole non dette, pensate e non espresse, per scelta o per forza, che si disperdono nel tragitto tra cuore ed anima, che attendono nell’ombra che arrivi, un giorno, un suono che le esprima.
«Alcuni dicono che quando è detta la parola muore. Io dico invece che proprio quel giorno comincia a vivere». Emily Dickinson
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