Opinioni

Ottant’anni di storia mondiale tra fragilità e alcune certezze

Sono passati diversi decenni dalla più importante cesura della storia moderna e contemporanea. Da quella seconda guerra mondiale che determinò una ridefinizione del sistema internazionale e della struttura della sua governance
Il Parlamento europeo a Strasburgo
Il Parlamento europeo a Strasburgo
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Ottant’anni dalla più importante cesura della storia moderna e contemporanea. Quella Seconda Guerra Mondiale che fece – le stime sono inevitabilmente incerte e approssimative – tra i 70 e gli 80 milioni di morti; che devastò territori e infrastrutture; che abbatté sistemi politici e stati; che fu accompagnata dall’orrore della Shoah; che si concluse con l’utilizzo, prima e unica volta, delle armi atomiche. E che determinò una ridefinizione del sistema internazionale e della struttura della sua governance.

Nazioni Unite, Banca Mondiale, Fondo Monetario uscirono da quella cesura. Con l’obiettivo di governare appunto un ordine internazionale che, se lasciato a sé stesso o alle crude e anarchiche logiche della politica di potenza, rischiava di riprodurre le immani tragedie della prima metà del secolo.

Tanto, tantissimo è accaduto in questi ottant’anni. Rotture e momenti di svolta hanno scandito la storia di questo ordine e di tanti suoi sottosistemi: la decolonizzazione e il crollo degli imperi; la fine della convertibilità del dollaro; la guerra fredda e la sua implosione, solo per menzionarne alcuni.

Variamente ripensata ed estesa – si pensi solo al capillare sistema messo in piedi dalle tante agenzie delle Nazioni Unite – l’architettura della governance, o almeno il suo scheletro, sono rimasti però gli stessi. Ed a partire dagli anni Settanta sono stati vieppiù piegati al servizio di quei processi d’integrazione globale – la cosiddetta globalizzazione – che hanno definito la nostra contemporaneità, almeno fino ad un’altra crisi epocale, quella del 2007-9, i cui effetti di lungo periodo tendiamo spesso a sottovalutare.

Nel momento in cui si prospetta un accordo sull’Ucraina che riconoscerebbe le ragioni dell’aggressore rispetto a quelle dell’aggredito, facendo strame del diritto internazionale, è inevitabile interrogarsi se questo anniversario indichi anche la crisi se non la fine del lascito della Seconda Guerra Mondiale. La tentazione, molto forte, è di rispondere affermativamente. Screditate e oggettivamente anacronistiche nei loro meccanismi di funzione sono molte delle istituzioni internazionali, a partire ancora una volta dalle Nazioni Unite.

Contestato o rifiutato è il loro sostrato discorsivo e ideologico, quell’internazionalismo preso di mira da tanti sovranismi, primo fra tutti quello di chi oggi guida la principale potenza mondiale. In crisi di legittimità sono molte delle democrazie che sconfissero il nazi-fascismo o che nacquero sulle ceneri della guerra.

Nel mentre la crescita monumentale delle diseguaglianze di reddito e, ancor più, ricchezza, e l’emergere di un ceto di oligarchi globali paiono anch’essi affondare una delle grandi speranze prodotte dalla fine della guerra: una maggior eguaglianza e protezione sociale.

Risposte semplici a tutto ciò non esistono. Si può, e si deve, però ricordare tutto quel che si è riuscito a costruire in questi ottant’anni, a partire da un progetto europeo che con i suoi mille limiti e tanti insuccessi costituisce ancor oggi esempio fondamentale e prezioso di ciò che si può apprendere da una tragedia e costruire dopo di essa.

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