Opinioni

Il 25 Aprile resta una festa necessaria

è necessario un ritorno alla storia, alla sua verità, al fine di recuperare a pieno le radici della festa e riconoscerne le valenze in modo da sottrarle a deformazioni e manipolazioni
Il Presidente Mattarella all'80esimo anniversario della Liberazione
Il Presidente Mattarella all'80esimo anniversario della Liberazione
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Nell’occasione dell’ottantesimo anniversario della Liberazione, quale significato attribuire alla celebrazione della ricorrenza in rapporto all’attualità? Anzitutto è necessario un ritorno alla storia, alla sua verità, al fine di recuperare a pieno le radici della festa e riconoscerne le valenze in modo da sottrarle a deformazioni e manipolazioni. Il 25 Aprile – in realtà una data distribuita in più momenti a seconda delle diverse situazioni del Paese – è anzitutto la giornata dell’insurrezione partigiana, della mobilitazione popolare, della liberazione dal giogo nazifascista e quindi della riunificazione nazionale degli italiani dopo i mesi della separazione nelle «tre Italie».

«Tre Italie» ovvero, il Regno del Sud, la Repubblica sociale italiana e l’Italia della Resistenza. Dunque il 25 aprile 1945 come culmine militare e politico della guerra partigiana, nel quale si condensano tanto le esigenze del presente quanto le aspettative per il futuro: il riscatto dalle responsabilità del fascismo nel provocare e partecipare al conflitto mondiale, attraverso il contributo alla Liberazione dall’occupante tedesco da un lato, dall’altro l’attribuzione di un solido fondamento, di una legittimazione ad un disegno di riforma politico-istituzionale e sociale che dovrà trovare compimento nella Carta costituzionale quale esito della vicenda «costituente» rappresentata dalla Resistenza – la «fonte battesimale della nuova Italia» – contro ogni possibile rischio di ritorno agli equilibri del prefascismo. Non c’è dunque alcun 25 aprile se non in rapporto all’antifascismo e al paradigma antifascista.

E così pure, se dalla scena della storia scompare il fascismo, sia quello del Ventennio sia quello nazificato della Rsi, e se vengono rimossi i soggetti protagonisti: i fascisti e i partigiani. L’attenzione portata a quanti sono caduti nel corso della guerra civile da una parte e dall’altra può certamente, a maggior ragione a decenni di distanza, essere evocata per ragioni di cristiana pietà o di laica commiserazione, ma non può in alcun modo vedere offuscato il giudizio sulle vite vissute e consumate, in nome di un indistinto paradigma vittimario nel quale alla fine viene meno ogni criterio di giudizio, ogni possibile identificazione della parte giusta e della parte ingiusta, non semplicemente sbagliata: chi si è battuto per la libertà e la democrazia e chi, invece, per l’anticiviltà del «nuovo ordine europeo», a sostegno di un regime dittatoriale e oppressivo.

La commemorazione del 25 aprile al cimitero vantiniano di Brescia - Foto Marco Ortogni Neg © www.giornaledibrescia.it
La commemorazione del 25 aprile al cimitero vantiniano di Brescia - Foto Marco Ortogni Neg © www.giornaledibrescia.it

Il 25 aprile una festa patriottica della libertà in cui tutti gli italiani possano ritrovarsi e riconoscersi? Una giornata finalmente sottratta a laceranti contrapposizioni in nome di un antitotalitarismo unificante le diverse correnti ideali e politiche e di una definitiva riconciliazione, di una memoria condivisa?

Questa linea, ispirata ad un patriottismo identitario che, negli anni del passaggio dalla prima alla seconda repubblica, ha caratterizzato vasti settori della Destra politica e culturale dalla memoria indulgente, afascista e, ad essere benevoli, post-antifascista, si ripropone oggi come via di superamento delle divisioni del passato e della reciproca delegittimazione. In realtà, come anche il presidente Mattarella più volte ha voluto chiarire, irremovibile non può che essere una interpretazione del 25 aprile quale approdo di un processo in cui l’antifascismo, come testimonianza morale e politica, è la necessaria premessa di un percorso volto alla democratizzazione delle istituzioni e della società, nonché alla realizzazione delle aspirazioni di libertà e di giustizia coltivate da quanti hanno animato l’esperienza resistenziale. Non c’è infatti libertà senza liberazione.

E se questo vale in linea teorica, vale a maggior ragione sul piano della valutazione storica e dell’attualità contemporanea, là dove alla fine, da parte di taluni, si vorrebbe che l’antitotalitarismo faccia scomparire il fascismo come fenomeno reale, riducendolo ad una manifestazione astratta, «quasi» - ha scritto Luca Baldissara - «un meta - totalitarismo cui accorpare il comunismo». Ne consegue il mancato riconoscimento del fatto che netta e incomponibile è stata la divaricazione tra il patriottismo nazionalista e bellicista del regime e il patriottismo costituzionale, democratico, solidale, europeista - come dimenticare Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni? - elaborato e propugnato dalle diverse componenti del Movimento di liberazione dal nazifascismo. Questo il riconoscimento che fa del 25 Aprile la festa di tutti gli italiani.

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