Le tragiche similitudini tra Putin e Netanyahu

Leonida Tedoldi, Università di Bergamo
Nessun Paese europeo mette in discussione il diritto alla difesa, ma questo diritto ha dei limiti: conta la proporzionalità della risposta militare
Vladimir Putin e Benyamin Netanyahu - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Vladimir Putin e Benyamin Netanyahu - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Forse, in maniera tardiva, l’Unione europea si sta muovendo. Martedì il Consiglio dei ministri degli esteri dell’Unione ha presentato e ottenuto l’approvazione della maggioranza su una mozione/proposta del governo olandese che chiedeva la revisione dell’accordo di Partenariato con Israele. In sostanza si tratta della volontà di modifica dell’art. 2 di tale accordo che riguarda materie come la fornitura di materiale e tecnologia militare fino alla sanità e alla mobilità degli studenti Erasmus, e ancora a misure contro la incontrollata diffusione degli insediamenti dei coloni nei territori palestinesi.

Questo voto basterebbe a vincolare la Commissione. Per la prima volta dal massacro di Hamas del 7 ottobre 2023, l’Ue si è schierata contro Israele (17 voti a favore 9 contrari tra questi Germania e Italia), ma soprattutto è un implicito atto sanzionatorio di pressione contro la devastante azione bellica dell’esercito israeliano di questi mesi e il mantenimento del blocco degli aiuti umanitari imposto dallo Stato ebraico. A questo si sono aggiunti in segno di protesta anche l’interruzione delle trattative per la sottoscrizione di un accordo di libero scambio con lo stato ebraico minacciata dal governo laburista inglese e l’ulteriore minaccia di embargo sulle armi a Israele da parte del governo socialista spagnolo.

Da qualche mese, Israele sta compiendo, grazie anche ad una assente politica statunitense, una vera e propria rappresaglia sempre più brutale che non rispetta alcuna convenzione internazionale e di diritto internazionale umanitario. Tale comportamento, solo mitigato inizialmente dal conflittuale rapporto tra l’Amministrazione Biden e quella israeliana di Netanyahu, lo avvicina alla violenta condotta dell’esercito russo in Ucraina. Netanyahu e Putin (entrambi incriminati da autorità giudiziarie internazionali) sono per molti versi simili, nell’agire politico e bellico e dal punto di vista comunicativo e anche nei riguardi delle organizzazioni internazionali così come con i giornalisti e la diplomazia. Ieri addirittura, una delegazione di diplomatici a Jenin è stata coinvolta da un’aggressione militare.

Le dichiarazioni dei portavoce dei rispettivi governi utilizzano le medesime strategie di comunicazione, e le medesime forzature della realtà. Come possiamo chiamare, ad esempio, le accuse di incitamento al terrorismo rivolte agli Stati europei dal governo israeliano dopo l’attentato a Washington di due funzionari dell’ambasciata. Israele, alla stessa stregua della Russia, si comporta come una potenza nucleare autocratica; sebbene le autorità di garanzia costituzionale funzionino ancora in quel paese, nonostante tutto.

La politica del governo israeliano è la necessità bellica, e la guerra è, anche in democrazia, uno Stato di eccezione e così l’indurimento del potere esecutivo diventa inevitabile con tutto quello che ne consegue: bombardamenti sempre più violenti e generalizzati su obiettivi civili che producono oltre alla distruzione di parti considerevoli dei centri abitati, anche crimini verso la popolazione.

Dal massacro del 7 ottobre del 2023 nessun ambiente di governo in Europa ha criticato il diritto alla difesa, che è previsto dal diritto internazionale, ma questo diritto ha dei limiti; conta la proporzionalità della risposta militare, e da ciò deriva una chiara responsabilità politico-internazionale del Paese che detiene una potenza di offesa militare superiore a quella dell’avversario; e questo vale anche e soprattutto per una democrazia come quella israeliana. A questo si aggiunge che sono azioni lesive del diritto internazionale anche tutte le operazioni belliche che portino ad una emigrazione della popolazione civile o al blocco degli aiuti umanitari. Solo l’esercito israeliano, al momento si è messo di traverso al premier in maniera efficace, seppure limitata. Le ultime concessioni del governo all’ingresso di autoarticolati per il trasporto di generi alimentari a Gaza sono state il frutto di quel che resta dell’autonomia tradizionale dell’esercito, l’haganah, sul potere esecutivo.

Vista la situazione internazionale attuale, forse solo l’Europa, magari insieme al Regno Unito, può davvero esercitare una pressione consistente sul governo israeliano e il suo primo ministro e lo può fare anche in nome del patrimonio politico di cui dispone in termini di ottemperanza al diritto internazionale, ai diritti umani in generale, e al rispetto della vita umana.

Spiace constatare che in questo momento manchi il sostegno della Germania, arroccata su una posizione fortemente pro israeliana, ormai incomprensibile, e dell’Italia, il cui attuale governo ne fa una questione ideologica, di schieramento.

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