Cultura

Il filosofo Curi e l’approccio «realistico» dell’Occidente alla guerra

Nicola Rocchi
Il docente emerito all’università di Padova presenterà mercoledì 19 il suo nuovo libro «Padre e re. Filosofia della guerra» nella Nuova Libreria Rinascita a Brescia
Uno scenario di guerra
Uno scenario di guerra
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Contrariamente a quanto si può credere, «la tradizione culturale dell’Occidente, dai filosofi greci antichi fino al pensiero contemporaneo, è scandita da molte e significative affermazioni secondo cui la guerra non è eliminabile». È un approccio che Umberto Curi definisce «realistico», suggerendo che dobbiamo partire da questa visione se vogliamo perseguire l’obiettivo di superare l’idea – espressa da von Clausewitz ma condivisa da molti pensatori – che la guerra sia semplicemente «la continuazione della politica con altri mezzi».

Curi, professore emerito di filosofia all’Università di Padova, riflette sul tema da qualche decennio. Il frutto dei suoi studi passati e attuali è ora condensato in un libro, «Padre e re. Filosofia della guerra» (Castelvecchi, 276 pagine, 20 euro), che l’autore presenterà domani alle 18 nella Nuova Libreria Rinascita in via della Posta 7, Brescia. Il titolo evoca un pensiero di Eraclito sulla relazione tra guerra e politica: «La guerra è padre di tutte le cose, di tutte è re».

Il professore emerito Umberto Curi
Il professore emerito Umberto Curi

Professor Curi, la guerra è vista come un male necessario?

Nella trattazione filosofico-politica occidentale la guerra è considerata per secoli un fenomeno ineliminabile; ne viene inoltre valorizzato il carattere produttivo e non soltanto distruttivo. Le posizioni che esprimono una visione pacifista sono minoritarie e trovano un’espressione compiuta solo nel saggio di Kant sulla pace perpetua. Anche se perfino in questo scritto si esprime uno schietto riconoscimento del carattere strutturale della guerra.

In cosa consiste l’aspetto «produttivo» della guerra?

Hobbes afferma che ciascun individuo nasce con la propensione a impadronirsi di tutto ciò che è disponibile. È dunque inevitabile che istituisca un rapporto di aggressione verso gli altri. Se teniamo ferma questa visione realistica della condizione umana, dobbiamo riconoscere che la guerra indica il percorso principale attraverso il quale si stabiliscono supremazie, relazioni di dominio e soprattutto trasformazioni in senso progressivo delle relazioni economiche. Perde il carattere della pura e semplice distruzione per assumere la forma di un necessario, quanto doloroso e tragico, percorso per la produzione dell’innovazione economica e politica.

Oggi quanto è cambiata la forma della guerra?

È un altro spunto di riflessione che propongo per una rielaborazione delle categorie abituali con le quali viene interpretato il fenomeno bellico. Si è affermata la tendenza a una trasformazione nella morfologia della guerra, basata in maniera particolare sulla tutela dell’incolumità dei soldati rispetto alla popolazione civile. Lo documento nel libro: dalla guerra ottocentesca, con battaglie in campo aperto tra eserciti, alla Seconda guerra mondiale, quando il numero delle vittime civili è più del doppio rispetto a quelle militari; sino alla situazione attuale, con l’uso di strumenti sempre più sofisticati che non espongono i soldati ad alcun rischio ma portano al coinvolgimento esteso della popolazione civile.

Insiste anche sul rapporto tra guerre e distribuzione ineguale delle risorse del pianeta...

Sì, ed è uno dei temi che ho cercato di sviluppare in termini analitici, attraverso l’uso di dati veri e propri. Risultano evidenti le asimmetrie fra una minoranza della popolazione mondiale che dispone di quattro quinti delle risorse, e gli altri quattro quinti della popolazione mondiale (circa sei miliardi di individui) che possono disporre di un quinto delle risorse. La posizione espressa dalla Fao, secondo la quale non ci può essere pace se non vi è giustizia sociale, è totalmente da condividere. Occorrerebbe uno sforzo poderoso da parte dei Paesi più sviluppati per consentire una riduzione di questo divario. Ciò a cui stiamo assistendo è invece l’opposto.

Si discute se l’Europa debba aumentare le proprie spese militari. Dobbiamo accettare la necessità di essere preparati alla guerra?

Credo che sarebbe indispensabile evitare un approccio ideologico a questa problematica, e privilegiare invece un approccio realistico. Se l’Europa vuole svolgere un ruolo all’altezza della sua tradizione culturale e delle aspirazioni dei suoi cittadini; se vuole contare dal punto di vista politico, è indispensabile dotarsi anche di una forza militare di dissuasione che consenta di sviluppare appieno le potenzialità dell’unione politica ed economica. La tutela della pace passa anche attraverso il riconoscimento della necessità di una struttura militare che funzioni come stabilizzatrice degli equilibri fra l’Europa e gli altri soggetti della politica internazionale.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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