Le armi difensive nel rapporto Londra-Kiev

Quotidianamente leggiamo delle polemiche per l’aiuto (forse tiepido) fornito dall’Italia all’Ucraina in guerra con la Russia. Non è solo l’Italia a essere impegnata in tale sforzo: più o meno tutti i Paesi occidentali stanno sostenendo Kiev con soldi e armi, mentre ogni tanto vi è chi solleva l’ipotesi di una prossima entrata del Paese nell’Unione europea e/o nella Nato.
In particolare, il Regno Unito dal febbraio 2022 ha dato all’Ucraina 12,7 miliardi di sterline, di cui almeno 7,6 miliardi in aiuti militari (carri armati, sistemi di difesa aerea e missili di precisione a lungo raggio) oltre ad aver addestrato i piloti ucraini al volo, mentre circa 45.000 soldati ucraini sono stati istruiti in Gran Bretagna (Operation Interflex).
"The reward of suffering is experience."
— Defense of Ukraine (@DefenceU) September 15, 2024
Harry S. Truman
The combat losses of the enemy from February 24, 2022 to September 15, 2024. pic.twitter.com/SYReSwD37Y
Il cambio di governo avvenuto a Londra nel luglio scorso, con la vittoria alle elezioni politiche di Keir Starmer e del partito laburista, non sembra aver mutato la strategia inglese. Starmer ha assicurato che gli aiuti economici e militari proseguiranno; ma che le armi fornite dovranno essere usate solo per scopi difensivi: ciò significa che i missili donati potranno essere utilizzati solo sul territorio ucraino occupato dai Russi, ma non per colpire obiettivi nei territori di Mosca.
Nella sua quasi totalità l’opinione pubblica locale sostiene l’azione del governo. La ragione risiede forse nel fatto che essa condivide la plurisecolare idea per cui la Gran Bretagna deve agire quale leader «morale» nel sistema internazionale. Inevitabilmente ciò passa anche per la convinzione che per «salvare il mondo» e «proiettare il potere britannico» (concezioni di per sé perfino antitetiche) il Paese debba adottare una posizione più assertiva rispetto agli altri suoi partner europei e, talvolta, occidentali.
Latest Defence Intelligence update on the situation in Ukraine - 15 September 2024.
— Ministry of Defence 🇬🇧 (@DefenceHQ) September 15, 2024
Russia has continued a high tempo of offensive operations across multiple areas of the frontline.#StandWithUkraine 🇺🇦 pic.twitter.com/Vv3Rvv2Gmw
Molti britannici (compresa l’élite del Paese) sono convinti che si debba difendere il cosiddetto «ordine internazionale basato sulle regole». Da questa convinzione scaturisce l’idea che la Russia di oggi (erede dell’Urss di ieri e della Russia zarista dell’altro ieri) sia per sua natura un sovvertitore dell’ordine mondiale, con le sue ambizioni e la sua abitudine all’intrigo, prima, e alla violenza sopraffattrice, poi. Se per qualcuno la Russia è un Paese in sé sconosciuto, essa è anche un nemico familiare, percezione ereditata dall’epoca imperiale.
Da un punto di vista strategico (e più concreto), il comportamento inglese ha reso la Gran Bretagna un Paese rispettato a Kiev. Avendo dimostrato una leadership morale, Londra potrebbe essere favorita nelle sue future relazioni in Europa centrale e orientale, oltre che ritagliarsi un ruolo nella ricostruzione dell’Ucraina. D’altro lato, è pur vero che con la sua presa di posizione il Regno Unito si è inimicato la Russia, divenendo un facile bersaglio polemico (e potenzialmente anche politico, se non proprio militare) delle iniziative di Mosca. Senza contare che Paesi extra-europei come Cina e India hanno percepito la linea britannica come illogica rispetto ai nuovi scenari internazionali.
Date le difficoltà nelle quali si dibatte l’Ucraina e l’evidente incapacità dei suoi leader a vincere la guerra sul campo o a trovare una soluzione diplomatica sarebbe forse giunto il momento per il nuovo governo inglese di chiedersi se seguitare nella strategia adottata sia utile per gli interessi del Paese non solo nella regione europea, ma anche nel più ampio scenario globale, tanto caro a molti di quei britannici che, uscendo dall’Unione europea, avevano pensato che il mondo stesse attendendo un Regno Unito finalmente libero dai vincoli comunitari.
Lucio Valent - Docente di Storia Contemporanea, Università Statale di Milano
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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