Le armi difensive e le tante divergenze

Il nome viene dalla prima riunione tenutasi nel castello di Gymnich, in Germania, nel 1974. Ha così cinquant’anni e li ha festeggiati lo scorso febbraio, quando i ministri degli Esteri dei Ventisette si erano riuniti a Bruxelles, durante la presidenza semestrale belga del Consiglio dell’Ue. Riunioni informali, nelle quali i ministri hanno la possibilità di confrontarsi liberamente sui temi salienti.
Sotto la presidenza ungherese le cose sono andate diversamente. Non Budapest, ma Bruxelles e, per di più, nella sede istituzionale del Consiglio. Decisione dell’uscente Alto rappresentante della politica estera Josep Borrell, funzione in base alla quale è lui a presiedere il Consiglio affari esteri, a convocarlo, stabilendone l’agenda.
La presidenza ungherese ha dato non pochi mal di capo all’Ue, per via delle iniziative del premier Orban, tra le quali la visita a Putin. Di qui la pensata di «scippare» al riottoso premier magiaro il Gymnich. Decisione condivisa dalla grande maggioranza dei ministri, ma vi è chi ne ha preso le distanze. Tra questi, con una certa sorpresa, Antonio Tajani.
La novità è stata la partecipazione del ministro turco Hakan Fidan. L’invito a Bruxelles ha dato l’opportunità di confronto sui temi nei quali Ue e Turchia continuano a essere distanti. Il problema di fondo è sempre Cipro. Fidan si è seduto a un tavolo assieme all’omologo della Repubblica di Cipro, Paese membro di quell’Ue alla quale la Turchia aspira, senza peraltro aver ancora affrontato il problema del suo riconoscimento. Tuttora aperti e senza progressi restano la liberalizzazione dei visti, la modernizzazione dell’unione doganale, la delimitazione delle zone marittime nell’Egeo.
Tuttavia, anche su ben altre questioni di bruciante attualità - non discusse con Fidan ma nell’agenda del Gymnich - Turchia e Ue continuano a mantenere divergenze non correggibili, mentre le convergenze appaiono solo parziali. Prima tra le prime Hamas, gruppo terrorista per l’Ue, movimento di liberazione per il governo di Ankara. Il legame Governo turco-Hamas è storico, profondo, dai connotati religiosi, non vi è, dunque, da aspettarsi il minimo cambio di rotta. Poi il Venezuela, pressato dall’Ue per i molti dubbi sulla regolarità delle elezioni presidenziali dello scorso luglio, dalle quali Nicolás Maduro è uscito «vincente».
L’Ue ha chiesto al Venezuela di produrre la documentazione elettorale, come ha ricordato Borrell, ma non è giunta alcuna risposta. A Maduro, quindi, non viene riconosciuta legittimità come presidente del Venezuela. Lo stesso hanno fatto, tra altri, vicini quali Brasile, Colombia e Messico. Per contro Ankara si è affrettata a riconoscere quell’esito elettorale. Erdogan, ai primi di agosto, ha telefonato a Maduro per fargli i complimenti ed assicurargli il continuare del sostegno turco.
A Fidan è piaciuta la proposta di Borrell di sanzionare (divieto di viaggi e sequestro dei loro beni nell’Ue) i ministri israeliani Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, per loro recenti dichiarazioni e atti, ma si tratta di proposta debole. Vari ministri, tra i quali Tajani, si sono mostrati contrari. Così come deve essersi sentito in sintonia sulle evacuazioni dalla Cisgiordania. Il giudizio di tanti ministri dell’Ue è stato di condanna, con richiesta a Israele di astenersi da nuove occupazioni e recedere da quelle effettuate.
Welcome to Brussels, my dear friend @Dmytrokuleba.
— Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) August 29, 2024
We discussed military support and the need to lift restrictions on the use of weapons against Russia’s military targets under international law.
We also exchanged on the diplomatic track and Ukraine’s peace formula. pic.twitter.com/G0nozbkJAp
Da ultimo, Fidan non deve aver apprezzato la proposta di Borrell di consentire all’Ucraina di usare in territorio russo le armi ricevute. I ministri si sono divisi. Tajani ha ribadito come le armi fornite dall’Italia siano difensive e tali debbano rimanere, perché «l’Italia non è in guerra con la Russia». Posizione ineccepibile, in linea di principio. Resta un fatto, neppure Iran, Cina e Corea del Nord sono in guerra con l’Ucraina, ma forniscono armi all’aggressore.
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