I commissari Ue e le istanze di Ursula von der Leyen

«Chiederò agli Stati membri di proporre i candidati commissari, un uomo e una donna. Voglio scegliere i migliori che condividano l’impegno europeo, numericamente ci sarà parità tra uomini e donne»
Ursula von der Leyen - Foto Ansa/Epa/Ronald Wittek © www.giornaledibrescia.it
Ursula von der Leyen - Foto Ansa/Epa/Ronald Wittek © www.giornaledibrescia.it
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«Chiederò agli Stati membri di proporre i candidati commissari, un uomo e una donna. Voglio scegliere i migliori che condividano l’impegno europeo, numericamente ci sarà parità tra uomini e donne». Così Ursula von der Leyen il 18 luglio. Lasciamo da parte Germania ed Estonia, i cui membri della Commissione hanno già una nomina definitiva: la presidente, appunto, e Kaja Kallas responsabile della politica estera.

Tredici Paesi hanno, a tutt’oggi, designato il loro commissario, in complesso quattro donne e nove uomini. Tuttavia, tanta solerzia si è accompagnata al totale non rispetto della richiesta della presidente. Il chiedere due nomi ha, in effetti, una doppia valenza. In primo luogo, per facilitare il raggiungere della parità.

L’altra ragione è pure iscritta nel Trattato sull’Unione europea. Questo chiede, infatti (art.17.7) l’accordo del presidente eletto della Commissione nel definire la lista dei restanti membri della Commissione. Un’indicazione secca, di fatto, finisce col non lasciare scelta al presidente della Commissione, facendolo trovare di fronte a un fait accomplì. Il non lasciare margini è un modo per riaffermare, a dispetto del Trattato, a chi spetti il potere decisionale nelle scelte fondamentali dell’Ue.

Va riconosciuto, comunque, come le designazioni appaiano rispettare in pieno il requisito della competenza, anch’esso previsto dal Trattato. In parte perché si tratta di riconferme di membri della Commissione uscente, come è il caso del francese Thierry Breton responsabile del mercato unico, o del lituano Valdis Dombrovskis, un falco del rigore finanziario. In parte per via dei loro curricula, come quello di Kaja Kallas, premier estone uscente, o dell’irlandese Michael McGrath, ministro delle Finanze, nonché possibile pretendente alla delega per l’Economia.

I potenziali candidati

Dieci Stati membri, tra i quali l’Italia, hanno solo dato indicazioni di potenziali candidati. Lussemburgo e Danimarca candiderebbero due uomini. La Bulgaria due donne. Mentre i governi di Romania e Belgio sembrano intenzionati a rispettare appieno le richieste della Presidente.

Veniamo da noi. Vi è un candidato in pectore Raffaele Fitto, ma anche il nome di Elisabetta Belloni. Un politico, ministro degli Affari Europei e del Pnrr; una ambasciatrice, responsabile dei servizi segreti. Competenze diverse. Profilo politico il primo, tecnico la seconda. È presto per dire cosa farà il governo Meloni.

Se l’accordo venisse trovato su Elisabetta Belloni, le potrebbe essere conferita, assieme eventualmente a quella per gli Affari interni, la delega per un qualcosa tutto da creare: la politica per la difesa. Materia divenuta strategica, quindi cruciale per il futuro dell’Europa. L’Ambasciatrice non avrebbe certo problemi nella sua audizione di fronte alla commissione competente del Parlamento europeo, il giudizio sarebbe meramente tecnico, terreno sul quale ha competenze molto solide.

Matteo Salvini e Raffaele Fitto - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Matteo Salvini e Raffaele Fitto - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Altrettanto non potrebbe dirsi per Raffaele Fitto. Qui la politica farebbe premio sulle sue competenze tecniche, peraltro indiscutibili. Innanzitutto, nell’ottica di ottenere una delega di spessore assieme a una vicepresidenza operativa, pesa sulla politica governativa la non ratifica del trattato Mes. Altro balzello è l’affiliazione politica di Fitto e il gruppo di appartenenza nell’Europarlamento: Europa dei conservatori dei riformisti. Gruppo, sì cresciuto nelle ultime elezioni, ma di opposizione.

Nei confronti di Ecr non è scattato quel cordone sanitario approntato dalla maggioranza Ppe, S&D e Renew nei riguardi dell’estrema destra, ma la battaglia nell’audizione parlamentare si prospetta molto dura e dall’esito incerto.

L’optimum per il governo Meloni sarebbe avanzare entrambi i nomi. Così facendo si darebbe pure un look europeo. Con un solo nome correrebbe il rischio di una impasse, per poi magari concludere con una nomina di seconda fila e una delega leggera. Ma gli optima, in politica, non hanno mai molta fortuna.

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