La legge di Bilancio tra emendamenti e compromessi

Da anni il Parlamento rimane ai margini dell’attività politica costretto a rincorrere provvedimenti governativi introdotti attraverso l’utilizzo dei decreti legge. Questa involuzione del ruolo parlamentare viene accantonata, ritualmente, nelle settimane in cui i parlamentari sono chiamati a valutare, emendare, integrare gli indirizzi contenuti in quella che viene chiamata legge di bilancio.
Il copione si sta ripetendo in questi giorni e, come purtroppo accade troppo spesso, il dibattito viene combattuto a suon di emendamenti il cui risultato rischia di finire con tali e tanti compromessi da rendere più opaca la volontà di chi ci governa. Il confronto in parte si sviluppa intorno a critiche o proposte orientate a «spingere» verso obiettivi sociali (ad esempio più investimenti per le famiglie piuttosto che nei servizi alla persona), piuttosto che perorare iniziative orientate a ridurre le deleghe allo Stato sugli stessi ambiti per potenziare altre forme di erogazione dei servizi.
In parallelo, scendono in campo le «appartenenze» di settore o le vicinanze associative con tentativi di orientare risorse verso determinati settori, di ridurre la pressione fiscale per alcune categorie di lavoratori (ad esempio le cosiddette «partite iva»), piuttosto che agire, più o meno intensamente, su redditi di settori dell’economia (tutto il dibattito sugli extra profitti).
Il risultato di questo confronto finisce con modificare il progetto iniziale, spesso edulcorandolo a tal punto da approvare una manovra lontana dalle aspettative o ridotta nelle sue iniziali volontà. In questo quadro va però sottolineato un aspetto diciamo di «contesto» che, sembra, non essere molto presente negli attori coinvolti in questa «recita».
A differenza di quanto si poteva rappresentare nella prima parte dell’anno, gli indicatori economici si stanno orientando negativamente. Per esempio, la crescita del Pil, che si presenta rallentata, sembra destinata a non superare lo 0,6% lontana sia dal punto percentuale sognato sia dallo 0,8% previsto solo poche settimane fa, legando l’ipotesi di un trend migliore per il prossimo anno alla difficile crescita di consumi o dell’esportazione.
Allo stesso tempo il ricorso alla cassa integrazione sta mostrando un importante aumento (soprattutto nei settori industriali). Anche i dati sull’occupazione, pur in crescita, se analizzati mostrano qualche sofferenza (soprattutto legata al trend dell’offerta di lavoro in diminuzione). Altro andamento il cui orientamento si è modificato è quello dell’inflazione che è tornata a salire (con una previsione di mantenimento all’attuale 1,6% per i prossimi due anni).
In termini di contesto rimangono, ovviamente, forti le preoccupazioni sul debito pubblico e sull’effettiva capacità di invertirne la crescita sia attraverso il recupero di risorse sul fronte fiscale, sia sulle ipotesi di aumenti di entrate legate all’utilizzo di leve quali condoni o concordati preventivi.
Il rischio che corriamo è quello di una manovra che non riesca a mantenere le, pur limitate, promesse del Governo che portavano al sostegno di imprese (mantenimento del cuneo fiscale, riduzione dell’Irap, impegni sul fronte infrastrutturale e sulla digitalizzazione più interventi mirati in settori particolarmente in difficoltà), ma nemmeno riesca ad orientare risorse adeguate sui servizi alle persone o a quella che viene definita «lotta alla povertà» (dal reddito di inclusione ad un reale intervento a sostegno delle pensioni più povere fino ad arrivare a non orientare sufficienti risorse sui settori critici come sanità e istruzione).
Andrebbe compreso che la coperta è corta, che ogni euro orientato da manovre estemporanee viene decurtato dagli impegni progettuali dichiarati dal Governo, rischiando di fare perdere loro potenzialità sistemiche. Ogni risorsa mal orientata rischia di ridurre la capacità di contrasto che, oggi, si dovrebbe mettere in campo per affrontare i venti di crisi che sembrano soffiare dalle nostre parti.
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