Il ritorno di Kabila e la sfida tra Pechino e Washington

Un grande guazzabuglio o una guerra per procura? Può essere definita l’uno e anche l’altra l’attuale situazione della Repubblica Democratica del Congo, ex colonia belga. Guerra per procura perché? Perché dietro al ritorno dell’ex presidente Joseph Kabila, avvenuto a maggio dopo due anni di esilio, non c’è soltanto la questione dell’eventuale secessione delle province orientali - Kivu del Nord, Kivu del Sud e Ituri - dal resto del Paese, ma anche la volontà della Cina di mantenere le proprie posizioni.
Kabila è amico di vecchia data di Pechino, dove ha frequentato l’Università Nazionale di Tecnologia della Difesa; la laurea gli è valsa, nel 1998, la qualifica a generale maggiore e vicesegretario dei Capi di Stato Maggiore Uniti delle Forze armate congolesi. Inoltre, durante la sua presidenza (2001-2019), ha siglato il cosiddetto «accordo del secolo», una concessione di 25 anni, che ha permesso alla Cina, attraverso diverse società, di monopolizzare le miniere di cobalto e rame, in cambio della costruzione di infrastrutture.
Anche se nel 2024 il presidente Félix Tshisekedi, con una visita a Pechino, ha rinnovato l’accordo con la Cina, allo stesso tempo si sta anche orientando verso gli Stati Uniti per ridimensionare l’influenza cinese e per attrarre investimenti e sostegno politico internazionale. La collaborazione si traduce in truppe americane in cambio di concessioni minerarie. Ed eccoci al guazzabuglio. Intanto, la Repubblica Democratica del Congo è il maggior produttore di cobalto (circa il 60% del cobalto mondiale) e di coltan, materie prime entrambe essenziali per il funzionamento dei nostri strumenti digitali. La corsa a queste ricchezze è la responsabile di un dramma che in trent’anni ha visto quasi 10 milioni di morti e 25 milioni di profughi.
E di certo la vita della popolazione non è migliorata, anzi: 7,9 milioni di persone sono strette nella morsa dell’insicurezza alimentare. La zona del Kivu è oggi una delle più contese del pianeta. Sono presenti potenze estere e Paesi confinanti, come Uganda, Burundi e, soprattutto, il Ruanda. Che lo scorso 26 gennaio, con l’aiuto del gruppo armato M23, organizzazione paramilitare nata nel 2009 con orientamento filoruandese, ha insediato le sue truppe a Goma, capitale de facto dell’Est congolese. E proprio lì è comparso l’ex presidente Kabila, accolto dal plauso del leader locale del suo partito, il partito Popolare per la Ricostruzione e la Democrazia (PPRD), Innocent Mirimo, per il quale è un «padre della nazione», e del colonnello Lawrence Kayuka, portavoce dell’M23.
Kabila ha parlato del governo di Félix Tshisekedi come di una «dittatura, dove gruppi armati agiscono a fianco dell’esercito nazionale, e dove regna l’insicurezza». Ma la sua presenza proprio nei territori occupati dalle truppe filoruandesi, ha alimentato gli argomenti di chi - come le autorità di Kinshasa - lo ritiene un traditore. La Corte Suprema congolese ne ha revocato l’immunità, pertanto potrebbe essere intentato il processo per alto tradimento, collusione con l’M23, crimini di guerra e contro l’umanità. Ma Kabila non si lascia intimorire. Il rischio è che formi un governo parallelo, alternativo a quello in carica. E pensare che, nel 2018, fu proprio un accordo tacito tra i due a consentire a Tshisekedi di succedergli pacificamente.
La partita non sarà facile, perché i due leader hanno entrambi sostenitori e detrattori. Kabila non gode di molta credibilità, perché la sua presidenza è stata caratterizzata dalla rapina delle casse dello Stato e da una gestione violenta del potere. D’altra parte, il governo di Tshisekedi è indebolito dal conflitto mai sopito e dal caos istituzionale. Le Chiese cattolica e di Cristo in Congo (che raggruppa la maggior parte delle denominazioni protestanti presenti) hanno cercato di farsi mediatrici per una soluzione pacifica, incontrando Kabila, ma sono state accusate dalla popolazione di parlare con il nemico.
Un «nemico» che il governo teme, tanto che il presidente del Consiglio superiore per l’audiovisivo e la comunicazione (CSAC), Christian Bosembe, ha vietato ai media di diffondere informazioni relative all’ex presidente. Al CSAC la Ong Journalist in Danger (JED) ha chiesto di revocare tale decisione che mina la democrazia, è autoritaria e costituisce un abuso di potere. Per evitare una guerra civile, i due leader dovranno o accettare la «coabitazione» con Kabila al nord e Tshisekedi a Kinshasa, o formare un governo di coalizione in cambio del supporto di Kabila per un cessate il fuoco con l’M23 e la stabilizzazione della regione orientale.
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