Investimenti per la difesa, tra annunci e dura realtà

L’aumento delle spese per la difesa, in ossequio ai dettati della Nato, è uno degli argomenti più utilizzati con connotazione negativa nel dibattito politico italiano. Le affermazioni in proposito e la connessa eco mediatica disegnano un quadro che induce a pensare che la spesa «militare» stia decollando a livelli mai visti e insostenibili.
Il Dpfp (Documento programmatico di finanza pubblica) per la Difesa prospetta una spesa maggiore di 12 miliardi in tre anni (di cui 3,4 nel 2026, 3,5 nel 2027 e 4,8 nel 2028).
Nessuna impennata
In realtà nel bilancio della Difesa 2026 non c’è alcuna traccia di impennate: la spesa previsionale, infatti, si attesta a 32,38 miliardi contro i 31,29 del 2025. Detratti gli 8 miliardi destinati all’Arma dei Carabinieri (Forestali compresi) nel bilancio ordinario lo stanziamento per la funzione difesa è di 23,85 miliardi contro 22,94 di un anno fa. Meno di un miliardo in più, col rapporto spese Difesa/Pil che resta ancorato al nostro storico 1,5% (il 2% annunciato mesi fa è solo un’alchimia che ha inserito nella Difesa anche voci di spesa come Guardia di Finanza, Guardia Costiera e pensioni varie).
È lo stesso Dpfp a spiegare perché la previsione si sia mantenuta contenuta. Si precisa infatti che «la decisione sulla eventuale attivazione della Nec, National Escape Clause (ovvero la clausola di salvaguardia che consentirebbe di non conteggiare le spese aggiuntive nel calcolo dei Parametri europei di stabilità) è rimandata a una fase successiva al perfezionamento del programma Safe (Security action for Europe) fase in cui se ne valuterà l’effettiva necessità».
I fondi Safe sono i prestiti a tasso favorevolissimo spalmati su 45 anni proposti dalle Ue nell’ambito della Readiness2030 (già Rearm Europe) a cui l’Italia ha chiesto di aderire per un massimo di 14 miliardi, da utilizzare entro il 2030. Fondi che, comunque, la Ue non erogherebbe prima della seconda metà del nuovo anno (per il 2026 sarebbero cioè i 2,4 miliardi mancanti ai 3,4 previsti dal Dpfp).
Atteggiamento conservativo
L’atteggiamento italiano, dunque, si mantiene molto prudente: il rapporto deficit/PIL è sì rientrato sotto il 3% ma la Manovra del Governo è stata quanto meno conservativa. Ma non sono solo economici i motivi per cui l’Italia fatica da sempre ad aumentare la spesa militare: la componente di avversità ideologica resta molto forte e, anzi, la guerra in Ucraina sembra averla rafforzata. Manca la mentalità per scelte radicali, che possano cioè imprimere finalmente un salto di qualità ad un settore che soffre per decenni di sotto finanziamento e che registra carenze (soprattutto per manutenzione, rifornimenti e addestramento) che per essere colmate richiedono programmazioni lunghe e stabili. Qualche segnale positivo si intravede tra le righe, come ad esempio i 167 milioni destinati alla prontezza operativa (ovvero al mantenimento in efficienza dei mezzi), quasi il triplo del 2025; ma è ben poca cosa rispetto alle reali esigenze operative.
Un altro rischio, non così remoto, si aggira attorno alle «maggiori spese» per la Difesa: ovvero il dirottamento di buona parte degli eventuali fondi aggiuntivi in quell’1,5% di «spese per la sicurezza» che la Nato consente di calcolare nel totale del 5%: al di là del goffo tentativo di farvi rientrare anche il Ponte sullo Stretto se ne registrano già altri, come quello di comprendervi ad esempio anche la realizzazione della Roma-Pescara.
Verso la svolta?
L’italico stile dilatorio può contare sul fatto che a gennaio 2029 Trump non sarà più alla Casa Bianca, mentre gli obiettivi dalla Review Nato (prevista lo stesso anno) potrebbero essere rivisti, magari sulla spinta di altri Paesi; per allora anche la guerra in Ucraina sarà più che auspicabilmente finita e Mosca dovrà comunque dedicarsi prima poi alla sua provata economia interna.
Tra meno di due anni, però, prima del fatidico 2029, in Italia si vota per il Governo e l’aumento delle spese militari è un argomento da maneggiare con estrema cura. Citando «Napoli milionaria», per le scelte strategiche «addà passà ‘a nuttata».
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