In Siria si combatte una guerra infinita

L’attacco jihadista per ora giova paradossalmente solo ad Israele
La caduta di Aleppo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
La caduta di Aleppo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Nel marzo del 2011 nessuno degli abitanti della piccola città siriana di Daraa avrebbe immaginato quale potesse essere la portata di un semplice graffito sul muro di una scuola. Una scritta, tracciata con mano incerta con una bomboletta spray, quasi per scherzo, che recitava: «Dottore, il prossimo sei tu». Nella concitata ondata di rivolte delle cosiddette «primavere arabe» che stava scuotendo le regioni del Nord Africa e che vedeva i regimi e i loro autocrati vacillare sotto la pressione delle proteste popolari, il riferimento era al cursus studiorum di Bashar al-Assad, laureato in medicina, con una specializzazione in oftalmologia conseguita a Londra. Dopo la caduta del tunisino Ben Ali, dell’egiziano Mubarak e delle rivolte in Libia, si auspicava che il prossimo potesse essere proprio Bashar.

Da qui si scatenò una violenta repressione del regime, la quale condusse a un’escalation che vide la Siria essere, prima al centro di una guerra civile poi, in un ossimoro, il teatro di una guerra mondiale-locale, nella quale sul suo territorio si scontrarono interessi delle grandi potenze regionali e non solo: Iran, Turchia, Russia, Arabia Saudita, ma trovarono terreno fertile anche una miriade di gruppi estremisti islamici, pronti a combattere il regime laico del clan Assad. Il rapidissimo sviluppo dello Stato Islamico sembrò far vacillare il governo di Damasco, che sopravvisse solo grazie al provvidenziale intervento militare di Mosca, Teheran e Hezbollah, che per quest’ultimo il territorio siriano rappresentava una importantissima retrovia.

Da allora la fragilità siriana è diventata comunque sistemica, anche a causa del permanere di sacche di resistenza delle ultime frange dei jihadisti sunniti che, sconfitti militarmente, ma non ideologicamente avevano trovato rifugio nella città di Idlib, erigendola a loro roccaforte. Tra questi, ieri, i membri di Hayat Tahrir al-Sham, Organizzazione per la liberazione del Levante, hanno improvvisamente riaperto un altro fronte di guerra nel già complesso scacchiere bellico mediorientale, conseguenza indiretta della recente tregua firmata da Israele con Hezbollah.

Il Partito di Dio ha visto ridursi drasticamente la propria capacità militare e politica, in seguito all’attacco israeliano contro il Libano e la strategia di omicidi mirati che ha decapitato gran parte della classe dirigente del gruppo. Il suo logoramento, unitamente all’impegno russo sul fronte ucraino, ha avuto così una eco anche in Siria, consentendo ai jihadisti di trovare il momento propizio per condurre un attacco nella vicina Aleppo, seconda città del paese, sorprendendo sia l’esercito che i suoi cittadini.

Due le prime conseguenze di carattere strategico che si possono identificare. Sul breve periodo l’attacco dei jihadisti giova sicuramente a Israele. L’indebolimento di Assad è anche quello dell’Iran e di Hezbollah. Teheran avrà sempre più difficoltà a far giungere sul suolo libanese, attraverso la Siria, le nuove armi di cui il Partito di Dio ha bisogno per rifornire i propri arsenali e per continuare a rappresentare la longa manus e gli interessi degli Ayatollah in Medio Oriente. Non è tuttavia conveniente per Tel Aviv che il regime siriano crolli, poiché sarebbe sostituito da uno Stato salafita-jihadista, con pericolosi ricaschi di sicurezza non solo per Israele stesso, ma per l’intero sistema internazionale. La caduta di Aleppo rappresenta un’importante sconfitta nella capacità predittiva di Teheran, segno che nell’area, anche a seguito della guerra tra Israele, Hamas e Hezbollah, ha perso gran parte delle sue potenzialità di intelligence sul campo, come quelle d’azione militare della sua Asse di Resistenza, sempre più fragile.

È probabile che oltre all’intervento russo di ieri, sia necessario far affluire in Siria le milizie irachene sostenute dalla Repubblica Islamica, lasciando però parzialmente sguarnito un altro fronte importante. Si verrebbe così a creare un vuoto che potrebbe essere sfruttato funzionalmente dalle frange dello Stato Islamico (Isis) che ancora oggi sono presenti in Iraq. Sul piano tattico la conquista del Centro di ricerca scientifica militare alla periferia di Aleppo potrà sicuramente dare un vantaggio considerevole alle forze ribelli che entreranno in possesso di droni e missili avanzati, i quali in passato hanno dimostrato di avere la capacità di modificare le dinamiche del campo di battaglia. Una battaglia che è solo agli inizi. Presto anche i muri di Aleppo si riempiranno di nuovi graffiti e scritte: inneggianti contro Assad, ma ritornerà il vecchio motto agli inizi della rivolta contro Assad, che era di Al Qaeda nella regione: «Non c’è Islam senza Jihad».

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