In Medio Oriente una tregua fragile

Il cessate il fuoco tra Israele ed Hezbollah è giunto, ma sullo sfondo restano la tragedia di Gaza e i dubbi sulla capacità dell’Unifil e del Libano di preservare la pace
Palazzi distrutti alla periferia di Beirut - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Palazzi distrutti alla periferia di Beirut - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Atteso da settimane, il cessate il fuoco in Libano è finalmente giunto. I termini dell’accordo sono ovviamente favorevoli a Israele e riflettono quello che è stata a tutti gli effetti una sua chiara vittoria militare. Hezbollah ha visto decimati i suoi ranghi, chirurgicamente eliminata la sua leadership, smantellata una parte del suo temuto arsenale missilistico.

E ha ottenuto solo un limitato sostegno del suo patrono esterno, quell’Iran apparso impotente di fronte alla superiorità militare israeliana e, anche, non incline ad alimentare autolesionistiche escalation regionali. Hezbollah si ritira alcune decine di chilometri a nord del confine tra Libano e Israele. Quest’ultimo si riserva la possibilità di tornare a colpire il nemico qualora i termini del cessate il fuoco non fossero rispettati. Come in passato, l’esercito libanese e il contingente Onu dell’Unifil dovranno garantire la tenuta dell’accordo anche se Usa e Francia promettono un aiuto maggiore rispetto al passato.

Dentro quello che appare come un successo per Israele e per la diplomazia occidentale, rimangono molti punti interrogativi e una tragedia umanitaria, quella in corso a Gaza, per la quale si continua invece a non vedere una possibile soluzione. Come in passato, si tratta di una tregua precaria e probabilmente temporanea.

L’Iran starà cercando di capire come risollevarsi dai colpi subiti in questi mesi e riattivare una rete di surrogati (proxies) nella regione di cui Hezbollah continuerà a essere uno dei capifila. La presunta efficacia deterrente di questa rete si è rivelata ben più debole e inconsistente di quanto non si credesse e Teheran cercherà di trarne le conseguenze del caso, per ripensare la sua strategia e i suoi strumenti.

Visti i precedenti, è lecito nutrire molti dubbi sulla capacità dell’Unifil e del Libano di preservare la pace, anche se molto dipenderà da variabili a oggi non chiarissime o prevedibili, su tutte l’impegno reale degli Usa, la portata dell’effettivo smantellamento dell’arsenale di Hezbollah o la disponibilità iraniana a tornare a rimpinguarlo.

Sullo sfondo, si diceva, rimane la tragedia di Gaza. Che viene in teoria disaccoppiata dal teatro libanese ma rimane inestricabilmente legata a tutte le dinamiche regionali e ai rapporti tra Israele, gli Stati Uniti e gli stessi paesi europei. Perché la questione palestinese non è in ultimo isolabile e disaccoppiabile, come la storia mediorientale, recente e lontana, continua peraltro a ricordarci. La linea di Netanyahu e della destra israeliana appare chiara.

Si devasta senza tregua né pietà Gaza con l’obiettivo ultimo di vendicare il 7 ottobre, piegare qualsiasi volontà di rappresaglia e fare una terra bruciata non solo di Hamas ma anche di qualsiasi velleità di autonomia e autogoverno palestinese. Il corollario, finanche esplicitato da alcuni membri del governo di Netanyahu, è che con Gaza muore definitivamente il progetto dei due stati e si dà carta bianca ai coloni e agli insediamenti in Cisgiordania.

Un corollario, questo, che sembra essere condiviso da alcuni dei membri della futura amministrazione Trump che dovranno gestire il dossier mediorientale, a partire dal Segretario di Stato, Marco Rubio, dall’ambasciatrice all’Onu, Elise Stefanik e da quello in Israele, l’evangelico Mike Huckabee (che in passato ha dichiarato di non credere all’esistenza della Cisgiordania ma solo della Giudea e della Samaria, parti naturali di una Grande Israele).

E un corollario, infine, che rischia di dividere ancor più sia la comunità atlantica, con molti governi e opinioni pubbliche europei sempre più critici verso Israele, sia gli stessi Stati Uniti, dove il pieno sostegno a Israele è oggi contestato da molti elettori e politici democratici.​​​​​​

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