Il Movimento 5 Stelle non sarà mai più quello di prima

Ora che i delusi sono «tornati a casa», restano lo scontento puro e l’elettore fidelizzato al Movimento. Che sarà diverso, a prescindere: indietro non si torna
Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle - Foto Ansa/Fabio Frustaci © www.giornaledibrescia.it
Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle - Foto Ansa/Fabio Frustaci © www.giornaledibrescia.it
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Oggi che i delusi sono «tornati a casa» a destra e a sinistra, restano lo scontento puro e l’elettore fidelizzato al Movimento. Resta però il problema che la «versione Grillo» è troppo radicale e un po’ passatista, fuori dai poli ma non più come si poteva essere quando si avevano grandi numeri elettorali e si contava, perché ora che lo spazio è poco e si rischia di restare fuori dal Parlamento o almeno di essere condannati all’irrilevanza.

Il redivivo M5s sarà comunque diverso, perché indietro non si torna. Per Conte valgono altre considerazioni: se vincerà lui dovrà misurarsi con una dissidenza che comunque ha pesato per circa un terzo dei voti nella scorsa consultazione online (alla quale ne seguirà un’altra, su richiesta di Grillo). L’ex premier potrebbe avere a che fare con un soggetto politico grillino in aperta concorrenza elettorale: in questo caso, potrebbe essere costretto ad inasprire i toni e ad allontanarsi dal Pd e dal campo largo per non perdere voti; se invece il partito di Grillo non nascesse, Conte dovrebbe comunque inventarsi qualcosa di nuovo, perché le vecchie parole d’ordine come il reddito di cittadinanza non possono più funzionare, se l’orizzonte di un ritorno al governo non solo non è tanto probabile, ma è pure lontano (le politiche sono previste per il 2027).

Il secondo aspetto riguarda i rapporti col centrosinistra. Nel caso di un partito grillino il problema non si porrebbe (non ci sarebbero rapporti, perché la parola d’ordine sarebbe di restare lontani da destra e sinistra), ma un partito contiano, invece, dovrebbe comunque avere a che fare con Pd e Avs, cioè con i due soggetti politici che oggi sono molto coesi (persino più che nel 2022) e in sintonia con Landini e la Cgil. In pratica, per Conte entrare nel campo largo significa non restare escluso dal blocco Pd-Avs-Cgil.

Giuseppe Conte e Beppe Grillo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Giuseppe Conte e Beppe Grillo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Per ora, ci sono vistose differenze col Pd in politica estera (questa è la ragione che limita i passaggi di voti dal M5s al partito della Schlein) ma consonanze con Avs (che su molte cose è più coerente, a partire dai tempi in cui non era al governo con Draghi mentre i pentastellati avevano ministri) su Ucraina e questione israelo-palestinese (questo favorisce il passaggio di voti verso verdi e sinistra, soprattutto a europee e amministrative, perché il movimentismo rossoverde paga, fra i delusi dei Cinquestelle). Quando le due guerre finiranno, però, le differenze in politica estera fra Pd, Avs e M5s si attenueranno.

Non solo: Conte è amico di Trump («Giuseppi!») e diventerà filoamericano quando il nuovo presidente si insedierà; il Pd non potrà abbandonare la sua tradizionale linea euroatlantica, quindi sarà con gli Usa ma non con Trump (differenze, tuttavia, trascurabili di fronte all’elettorato), mentre Avs racimolerà tutto il voto antiamericano che uscirà dal partito contiano. Però, nel complesso, sarà più facile fare il campo largo, almeno a sinistra.

Il terzo aspetto è legato alla consistenza elettorale del futuro M5s: al netto dei grillini, quanto peserà il partito di Conte? Alle regionali i numeri sono stati impietosi; i sondaggi sulle politiche future danno un 12-13%, che però, senza i no-Conte, potrebbe diventare un 10% scarso. È importante per gli alleati sapere quanto pesa il M5s, perché bisogna stabilire se conviene farlo entrare in coalizione perdendo i centristi. Poiché il granaio elettorale pentastellato è al Sud, il banco di prova saranno le regionali del prossimo anno in Campania e in Puglia. In quest’ultima regione il M5s ebbe il 9,86% alle regionali 2020, il 27,93% alle politiche 2022 e il 14,11% alle europee 2024; in Campania, invece, ottenne il 9,92% alle regionali, il 34,57% alle politiche e il 20,77% alle europee. Se alle regionali 2026 il partito di Conte andrà sotto l’8% in queste due regioni la Schlein potrà legittimamente chiedersi «quante divisioni» ha il M5s (e se converrà allearsi).

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