Il sistema politico italiano è ormai bipolare

Le sette consultazioni regionali del 2024 confermano una tendenza
Elly Schlein e Giorgia Meloni - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Elly Schlein e Giorgia Meloni - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Il voto in Emilia-Romagna e in Liguria ha chiuso un lungo ciclo di elezioni regionali che ha segnato tutto il 2024. Nella prima parte dell’anno, si è votato in Abruzzo, Basilicata, Sardegna e Piemonte; a ottobre-novembre, invece, in Liguria, Emilia-Romagna e Umbria.

Il dato di partenza era di sei regioni su sette amministrate dal centrodestra; ora quattro sono rimaste alla coalizione della Meloni (Abruzzo, Basilicata, Piemonte e Liguria) mentre Sardegna e Umbria sono passate al centrosinistra, che ha conservato l’Emilia-Romagna. Totale: quattro a tre. Sono stati chiamati alle urne 12,464 milioni di italiani, ma solo il 50,7% è andato a votare, contro il 61% delle precedenti regionali (2019-2020), il 65,8% delle politiche (2022) e il 53,2% delle europee (2024).

Si può ragionevolmente affermare che ormai, essendo le regionali e le europee elezioni «di secondo grado» (di minor importanza rispetto alle politiche) sia normale una partecipazione del 50-55%, anche se molto dipende dal tipo di competizione. C’è infatti un astensionismo fisiologico, costante per tutte le elezioni o almeno per quelle di un certo grado e un astensionismo «selettivo» che dipende dal fatto che la gara sia o meno incerta.

Se, come in Emilia-Romagna, il vincitore è di gran lunga più forte dello sconfitto, molti non votano; se invece la partita è incerta, come in Umbria, si va alle urne un po’ più numerosi. Le regioni realmente contendibili erano la Sardegna, la Liguria, l’Umbria (e ci sarebbe stata anche la Basilicata, se i centristi dell’ex Terzo polo non avessero sostenuto il candidato di centrodestra, sbilanciando nettamente a suo favore la gara). Le regionali possono essere un test nazionale, ma in questa sede ci pare più opportuno fare una comparazione fra i risultati di lista dello stesso tipo di competizione. Nelle sette regioni dove si è votato confronteremo i dati del 2024 con quelli delle precedenti consultazioni, svoltesi fra il 2019 e il 2020.

Stavolta, curiosamente, centrodestra e centrosinistra sono pari col 48,9% dei voti, ma la volta precedente la coalizione allora guidata da Salvini aveva l’1,6% in più mentre l’altra aveva l’1,4% in meno. Si può dire che il divario di tre punti che separava i poli si è chiuso, almeno alle regionali. Nel centrodestra Forza Italia è passata dal 6,1% all’8,6%, mentre la Lega è crollata dal 29,2% al 7,1% (ma il confronto, qui, va fatto con le politiche e le europee, dove il Carroccio ha preso fra l’8 e l’8,5% dei voti); Fratelli d’Italia sale dal 7,3% al 21,3% (più almeno un 3% di quel 3,7% guadagnato dalle civiche di area) ma resta leggermente sotto i risultati di politiche e soprattutto europee; infine, crescono dello 0,7% i centristi di centrodestra.

Nel «campo largo» i centristi ottengono un 4% (con un dato molto influenzato dal risultato in Basilicata) che è la metà rispetto alle politiche e il 2,6% in meno sulle europee, ma alle precedenti regionali avevano solo l’1,3% (non ci si presentava o ci si presentava più di ora con candidati in liste di coalizione); il Pd ha il 27,8% contro il 23,5% (va oltre i risultati ottenuti a politiche ed europee); Avs ha il 5,4% (+1,4%); il M5s crolla dal 10% al 5,5% (ma alle regionali di ottobre-novembre è arrivato sotto il 4%).

I voti ai soli candidati presidenti sono scesi dal 4,8% al 4,1%, anche se in competizioni aperte come quella umbra sono invece aumentati. In sintesi, il sistema politico è tendenzialmente bipolare: non c’è passaggio di voti fra i poli, se non molto marginale, mentre i flussi sono fra i partiti degli stessi schieramenti e con l’astensione. FdI e Pd dominano le loro coalizioni, superando entrambi il 20% dei consensi, mentre nessun loro alleato arriva al 10%.

La differenza fra centrodestra e centrosinistra non è oggi nei consensi (alle regionali sono alla pari) ma nella struttura: il primo è unito dal 2000, il secondo cerca faticosamente l’unità, col Pd che deve mediare fra pentastellati ed ex terzopolisti. Se le coalizioni si presenteranno unite alle prossime politiche, la gara sarà molto interessante.

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