Il generale Vannacci e lo spazio per un’Afd italiana

Forse è solo una suggestione estiva e tale resterà anche da qui alle prossime elezioni del 2027 per il rinnovo delle Camere. In due anni e mezzo, però, in politica possono cambiare molte cose; perciò, nessuno può escludere con certezza che anche da noi possa nascere una sorta di Afd italiana.
Un partito di ultradestra (in Europa non lo vogliono neanche i «Patrioti» di Salvini e Le Pen, pure messi ai margini del gioco politico per le posizioni radicali) che raccolga i voti di chi reputa che la Meloni sia diventata troppo moderata. Di chi pensa che ci voglia una svolta autoritaria nel Paese, di chi contrasta le diversità, le disabilità e i diritti civili conquistati negli ultimi 40-50 anni e di chi – opponendosi alla globalizzazione – detesta gli immigrati e gli italiani di pelle scura.
Non si creda che questi nostri connazionali siano pochi: in democrazia, c’è spazio per tutti, anche per i rosso-bruni, come si è visto anche in occasione delle ultime consultazioni europee e politiche. C’è una galassia trumpiana, molto conservatrice sul piano della fede cattolica, simpatizzante per Putin e per i mezzi usati dall’autocrate russo, che è composta in parte anche da no vax.
Sui social esiste, forse sovrarappresentata, però sarebbe sciocco sottovalutare il fenomeno e pensare che certe idee e posizioni (del tutto opposte all’antifascismo, per fare l’esempio più ovvio) non abbiano un certo seguito. Se oggi non c’è un’Afd italiana è solo perché l’ultradestra è divisa e perché non ha trovato un leader unificante.
A meno che, non oggi, non domani, ma un giorno (non lontano dalle prossime politiche) questo capo carismatico non si trovi nel generale Vannacci, attualmente eurodeputato leghista (quindi, già in politica e ad alti livelli, almeno stando allo spazio che Salvini gli ha dato in lista e anche in Europa, dove lo avrebbe voluto vicepresidente del gruppo parlamentare, scontrandosi con i dubbi e la contrarietà degli altri partiti di destra radicale).
Cosa c’è di meglio, per un elettorato di ultradestra, di un leader che parla della Decima Mas, di «camerati» (sia pure in un’altra accezione, prudentemente) e che non si nega quando si tratta di esprimere il proprio giudizio su quel «mondo al contrario» che tanto indigna lui e una certa quota di elettori?
Il generale, alle Europee, ha preso circa mezzo milione di voti di preferenza: se fossero tutti suoi avrebbe l’1,8% sui suffragi espressi alle politiche e più del 2% alle Europee. Poiché lo sbarramento per entrare in Parlamento è del 3%, ci vuole davvero poco per farcela. Del resto, nonostante sia stato eletto nella Lega, Vannacci è pur sempre un indipendente; quindi, è libero di prendere strade diverse se il quadro generale cambia.
Se poi la Meloni – soprattutto nell’eventualità di una vittoria di Harris che oggi appare lontana ma non impossibile – scegliesse di imboccare in modo irreversibile la via del conservatorismo, con una specie di «Fiuggi due», riprendendo il percorso già imboccato a suo tempo da Fini, ci sarebbero certo spazi, perché qualche nostalgico smetterebbe di votare FdI.
La premier potrebbe dire di rappresentare una destra sostanzialmente neogollista, lontana da quella ultrà che spaventa i moderati. Avere un nemico a destra può esserle quasi utile: del resto, Fini aveva Rauti e non se ne crucciava. Invece, per l’ultradestra, ci sarebbe una rappresentanza che non dovrebbe più usare perifrasi per esprimere le sue opinioni.
L’unico a perdere qualcosa sarebbe Salvini: ma Vannacci è stato utile per le Europee, non lo si può trasformare in un indispensabile (e troppo influente, a quel punto) jolly anche per le politiche. Un po’ di chiarezza a destra, in fondo, farebbe bene anche all’attuale coalizione di governo.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
