La guerra in Ucraina continua tra morti e impiego di risorse

A tre anni dall’inizio della guerra Mosca avanza in maniera quasi inesorabile nel Donetsk ma con altissimi costi di vite umane
Un soldato ucraino inserisce un proiettile in un mortaio a Chasiv Yar - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Un soldato ucraino inserisce un proiettile in un mortaio a Chasiv Yar - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Al di là di quanto potrà essere «giusto» un accordo sull’Ucraina concordato tra Trump e Putin escludendo di fatto dalle trattative Kiev e l’Europa, la guerra continua prorogando il terribile tributo di sangue e l’impiego logorante di risorse. Dopo tre anni il conflitto, iniziato con l’invasione russa del 24 febbraio 2022 (proditoria escalation dei combattimenti nell’Est ucraino in atto dal 2014) non si è ridotto.

L’offensiva di Mosca nel Donbass prosegue da mesi, anche se le porzioni di territorio conquistate da inizio 2025 sono molto inferiori a quelle messe di novembre e dicembre: ma il dato delle superfici non è significativo. I russi, infatti, hanno preso Toretsk, Vuhledar, Chasiv Yar, Kurakhove e Velika Novosylka, cioè quasi tutti i capisaldi della linea fortificata ucraina del 2014: conquiste in molti casi assai ardue tanto che molte grandi unità russe sono ora in fase di riorganizzazione. Gli ucraini hanno percepito il calo di intensità e in alcuni casi hanno contrattaccato (come a Udachne), rallentando la progressione avversaria.

Il nodo nevralgico resta Pokrovsk (data per caduta da molte settimane), dove gli ucraini occupano ancora posizioni sopraelevate, ma difficilmente resisteranno a lungo, perché l’armata di Mosca sta completando l’accerchiamento. La strategia è consolidata: le città fortificate vengono aggirate sui fianchi, sfruttando zone carenti delle difese ucraine, per concentrare più forze nell’area: accade anche a Kupiansk, dove la testa di ponte russa al di là del fiume Oskil è sempre più ampia, a Izyum (dove da un anno i russi non riuscivano a passare), a Makivka, Kopanki e Jerebez; anche a Chasiv Yar (gli ucraini resistono solo in centro) e Bakhmut le due teste di ponte sono ormai collegate.

Ora l’offensiva punta a Sivers, Sud di Lyman, importante come base logistica in vista del probabile assedio a Kramatorsk e Sloviansk, le due grandi città che mancano per completare la conquista degli oblast rivendicati da Mosca come territorio russo.

Questo spiega anche perché le unità ucraine, logorate da mesi al fronte senza che nessuno le abbia rimpiazzate (anche se qualche migliaio di uomini è stato «recuperato» dalle unità missilistiche e logistiche) paiono ostinarsi a difendere posizioni insostenibili: è che caduti gli ultimi capisaldi, come sta per accadere a Pokrovsk, si apriranno ampi spazi privi di vere difese, che consentirebbero ai russi di progredire nell’oblast di Dnipro (Dnipropetrovs'k). Avanzata che potrebbe costringere Kiev a cedere più ampi territori, arroccandosi sulla linea del grande fiume Dnepr, ostacolo insuperabile.

Ma il fatto che Putin si dimostri disponibile a trattare, indica che anche per Mosca la situazione non è semplice: i droni ucraini hanno colpito duramente una ventina di raffinerie in Russia e pare che i rifornimenti di carburante ai jet comincino a scarseggiare (lo conferma un notevole calo di attività aerea al fronte). Inoltre sono molte migliaia i carri armati e i blindati distrutti e la macchina industriale russa non può rimpiazzarli in eterno (lo rivelano le foto satellitari dei depositi siberiani di mezzi da riattare sempre più vuoti).

E non s’arresta neppure la conta dolorosa di caduti e feriti. La poco credibile narrazione vuole che Mosca perda mille soldati al giorno: in tre anni significherebbe averne persi oltre un milione. Sicuramente, però, i tristi numeri sono a sei cifre e ciò incide anche sulle risorse che il Cremlino destina alle famiglie dei caduti, senza contare che pagare (il quadruplo del consueto), mantenere e rifornire seicentomila uomini su un fronte di settecento km è impresa titanica.

Le performances russe, pur progressivamente migliorate, non sono state ottimali: dopo tre anni si sta combattendo a non più di 30 km dalla linea di contatto del 2014 e nel Kursk le forze ucraine occupano ancora circa 400 dei mille kmq presi sei mesi fa e lo stesso Putin ha ammesso in tv che la situazione là è “complicata” (ma è difficile credere alla rilevanza di un quadrato di 20 km di lato come merce di scambio di territori tra Kiev e Mosca).

Gli ucraini (che hanno commesso molti errori, soprattutto per contrasti tra politici e militari e tra i militari stessi) han combattuto e combattono oltre ogni aspettativa, ma hanno disperato bisogno del sostegno americano ed europeo, con l’Europa che ha visto messe a nudo tutte le sue debolezze e incertezze e che si rifugia sempre in slogan quasi mai tradotti in pratica.

Intanto l’arrembante decisionista Trump non bada troppo alla veridicità. A cominciare dai 300 miliardi di dollari di aiuti secondo lui forniti all’Ucraina: in realtà sono 175, oltre metà dei quali spesi a favore dell’industria americana per rimpiazzare i materiali donati. O dal 5% nel rapporto spese per la difesa/Pil chiesto agli europei (a fronte del 3,3% di Washington): purché, ovviamente, speso in buona parte per dotazioni «made in Usa».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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