Google, l’Ue e i rischi di un mercato digitale senza regole adeguate

In inglese, cercare su internet si dice «to google up»; basta questo per convincere che Google ha una posizione di assoluto dominio nel mercato dei motori di ricerca sul web? Forse no, ma dà l’idea... e anche per questo le recenti sentenze della Corte di giustizia europea che condannano in modo definitivo Google e Apple fanno clamore.
Sono due storie piuttosto diverse, almeno in apparenza. La condanna di Apple riguarda una questione fiscale, ossia se il governo irlandese abbia aiutato Apple a stabilire la sua sede europea a Dublino con indebiti sconti fiscali. E la Corte – ciò che non avviene sempre, occorre dirlo –, ha sostenuto la Commissione, obbligando il governo irlandese a recuperare da Apple il valore dei vantaggi fiscali concessi alla stessa Apple (circa 13 miliardi di euro). Non è la prima volta che questo avviene; toccare un mostro sacro quale Apple è però significativo.
#ECJ confirms @EU_Commission illegal aid decision on #taxruling issued by #Ireland in favour of @Apple – #EUGeneralCourt judgment annulled - #Ireland must now recover an estimated €13 billion 👉 https://t.co/ATb3CgbPxg
— EU Court of Justice (@EUCourtPress) September 10, 2024
La condanna di Google è invece una questione antitrust, forse più interessante. Facendo leva sulla sua posizione dominante del suo motore di ricerca, Google, ha favorito alcuni soggetti legati alla stessa azienda a scapito di altri. È quello che si chiama self-preferencing, la preferenza concessa a sé stesso, ciò che chiunque può fare se non si trova in una posizione di dominanza come quella di Google. Un’impresa che domina il mercato ha una responsabilità speciale, quella di non utilizzare questa posizione per restringere o comunque distorcere la concorrenza anche in altri mercati. E Google invece ha fatto proprio questo ed è stata sanzionata per oltre due miliardi.
.@EUCourtPress also upholds @EU_Commission's decision on @Google Shopping.
— Margrethe Vestager (@vestager) September 10, 2024
It confirms that @Google favoured its own comparison shopping service and actively limited choice for European users.
Also a big win for digital fairness 💪
Questo arriva a un paio di anni dal Digital market act, la norma europea sui mercati digitali che ha posto l’accento sul potere di mercato enorme che hanno alcune imprese digitali (i cosiddetti «gate keepers», quelli che guardano il cancello di entrata) che pongono in contatto imprese e consumatori e che possono quindi decidere chi e come possa entrare in contatto con il proprio mercato potenziale. Anticipando di molto gli Usa, molto più timidi a riguardo, l’Europa ha riconosciuto che l’antitrust normale potrebbe non bastare in mercati di questo genere, che hanno bisogno di regole ulteriori e particolari tutele dei consumatori.

Sono storie diverse che si inscrivono però in un’unica logica: l’Unione europea è convinta che non controllare oggi il potere di mercato delle imprese digitali potrebbe preparare il terreno a una situazione incontrollabile, dal punto di vista economico e non solo.
L’attenzione sui mercati digitali è altissima e ora si rivolge in due direzioni. La prima, più nota, è quella di X, che prima di passare a Elon Musk si chiamava Twitter: la Commissione ha chiarito che dovrà sottostare alle regole europee sull’accesso, il controllo delle notizie false e la terzietà; una battaglia appena agli inizi, e la Commissione ha ragione a considerarla una battaglia anche per la democrazia.
La seconda dimensione è il cloud, quella terra di nessuno nella quale le imprese digitali spingono i loro clienti. Molte imprese preferiscono oggi non acquistare più le licenze per il loro software, accettando – per tagliare i costi – di lavorare in cloud, con programmi che non acquistano ma che utilizzano in remoto. Nell’immediato costa meno, ma nel medio periodo significa affidarsi interamente al proprio provider, senza avere nulla in mano. Cosa avverrà domani? È il nuovo ambito di attenzione, per imprese e autorità.
Il potere di mercato delle imprese digitali è un terreno largamente inesplorato. La buona notizia è che la Commissione europea ha gli occhi ben aperti e che la Corte di giustizia la sta seguendo. La battaglia sarà lunga e complicata, ma i consumatori italiani hanno ottimi alleati.
Carlo Scarpa - Docente di Economia politica Università degli Studi di Brescia
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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