I colossi tecnologici penalizzano le borse

Le «sette sorelle» high tech, Apple, Microsoft, Nvidia, Amazon, Meta, Alphabet e Tesla, hanno una capitalizzazione di mercato di 13mila miliardi di dollari
Alphabet (Google) è stata sanziona dall'Antitrust statunitense - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Alphabet (Google) è stata sanziona dall'Antitrust statunitense - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Alphabet di Google come porta monopolista su Internet, viene per questo sanzionata con una sentenza storica negli Usa dall’antitrust per violazione della concorrenza tra i motori di ricerca on-line. Primo caso di una sentenza che contrappone il Governo degli Stati Uniti ad una società tecnologica negli ultimi 20 anni e con un forte «effetto annuncio» sulle altre sorelle high tech connesse (la sentenza potrebbe avere un effetto a catena su altre grandi aziende tecnologiche, spingendole a rivedere le loro pratiche commerciali per evitare simili sanzioni). Forse troppo in ritardo e dopo che «i buoi sono scappati dalla stalla»?

Certo «meglio tardi che mai» si direbbe guardando al bene del sistema economico nel suo complesso sotto la minaccia di recessione e per una ripresa di concorrenza in questo campo critico della conoscenza e della ricerca di informazioni sulla faglia sensibile della privacy (utenti finali) e del copyright (brevetti).

Quindi Google il gigante dei motori di ricerca non è stata sanzionata solo dall’Europa ma ora anche dagli Usa. Anche gli Usa si sono resi conto dell’elefante nella cristalleria con le violazioni della concorrenza per abuso di posizione dominante nelle ricerche on-line. Certo tremano anche le «mega-sorelle» come Amazon, Apple, Meta.

Sulla corporation di Mark Zuckerberg starebbe per essere sganciata una multa Ue da oltre 10 miliardi di euro per il collegamento illegale della Piattaforma Place a Facebook creando un vantaggio indebito a discapito dei concorrenti. Quindi su entrambe le sponde dell’Atlantico si è intervenuti per sanzionare comportamenti scorretti con danni per l’intero sistema industriale-commerciale high tech (e non solo) consentendo a questi pachidermi di crescere in modo anomalo nei valori borsistici ma senza adeguati stimoli ad investire in innovazione. È infatti noto che in ordine decrescente di capitalizzazione Apple, Microsoft, Nvidia, Amazon, Meta (Facebook), Alphabet (Google) e Tesla hanno raggiunto un abnorme valore di borsa di 13mila miliardi di dollari. Valore superiore all’intero prodotto lordo dell’area euro con Apple che è una volta e mezza l’Italia. Raggiungendo insieme il 25% dell’intera capitalizzazione della borsa americana che a sua volta vale il 70% delle borse mondiali.

Le «sette sorelle» high tech valgono insieme come le borse del G7. Un enorme squilibrio di aziende appunto con testa gonfiata (dalla speculazione borsistica mondiale) e corpo «flaccido e fragile» da sotto-investimento innovativo. Perché da rentier quali sono diventate non sono incentivate ad investire adeguatamente limitandosi a sovra-remunerare gli azionisti, «mangiandosi i concorrenti» quando necessario (Wapp tra queste per esempio).

Dunque ora si tratterà di capire quali saranno le scelte del giudice Amit Mehta, ossia se costringerà Google ad un cambio di comportamento (potrebbe dover rivedere i suoi contratti con i produttori di smartphone e altri partner per evitare ulteriori violazioni antitrust) oppure a vendere parte delle attività. È evidente che la prima scelta è inefficiente o inutile vista la enorme ricchezza accumulata da Google (ma certo dipenderebbe dal livello della multa), mentre la seconda potrebbe invece avere effetti di sistema rilevanti facendo ripartire la macchina dell’innovazione come fu con lo scioglimento di AT&T nel 1983 e con l’entrata in settori distanti dalle telecomunicazioni e con la creazione di compagnie telefoniche indipendenti.

L’abnorme dimensione di queste compagnie è di per sé una barriera all’innovazione ed è il motivo per cui andrebbero «affettate (costrette a vendere segmenti dei loro business - core e/o non core) nel loro stesso interesse per gemmare nuove ondate di innovazione aprendo il mercato a nuovi concorrenti e offrendo agli utenti più opzioni.

Anche perché è falsa l’argomentazione della «maggiore qualità del loro motore di ricerca» tesa a spiegare la meccanica della concentrazione, dato che in questi 20 anni ha pagato centinaia di milioni di dollari ad Apple e Samsung Electronics per assicurare il posizionamento privilegiato di Google-Crome nei loro device a fronte di incassi annuali superiori ai 300 milioni di dollari generati dai semplici annunci di ricerca.

Infatti, queste imprese non innovano da almeno un decennio perché si limitano ad acquisire start up innovative ricoprendole d’oro, magari per «spegnerle» in quanto sottrattive di profittabilità. Fattori che non sono estranei al gonfiamento della bolla high tech alimentata dagli investimenti Ai (come avvenuto in tutti i salti precedenti con Internet, chip e con i social negli ultimi 40 anni) e alla caduta delle borse di questa ultima settimana nello stato di grande incertezza geostrategica globale anche da parte delle banche centrali «dubbiose» sulle decisioni di ridurre i tassi, che forse sarebbero utili almeno per frenare i rischi emergenti di recessione e sull’intero ecosistema dell’innovazione globale.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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