Panetta e i rischi delle dispute commerciali

«Le dispute commerciali e i conflitti in atto stanno incrinando la fiducia a livello internazionale, con effetti negativi sulle prospettive dell’economia globale»: è l’incipit delle Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia. In nemmeno due righe, Fabio Panetta ha colto i punti critici di preoccupazione. Primo, le prospettive dell’economia globale sono compromesse per il calo di fiducia; secondo, quest’ultima è incrinata per le dispute commerciali e i conflitti. Riguardo a questi ultimi è sembrato superfluo aggiungere commenti di sorta, considerato l’obbrobrio a cui assistiamo ogni giorno. Le conclusioni denunciano però la crisi del «sistema multilaterale», ora sostituito da «un ordine multipolare in cui aumenta il peso dei rapporti di forza».
Il Governatore si sofferma piuttosto sull’altra causa del calo di fiducia: le dispute commerciali. Pur non nominando mai il presidente Usa, l’analisi dell’impatto dei dazi annunciati o minacciati da Trump è precisa ed articolata. Egli spiega che i dazi Usa attuali – in vigore dal 9 aprile – sono già i più alti di tutto il dopoguerra; da un grafico (per inciso queste Considerazioni sono particolarmente lunghe e ricche di grafici) si vede che i dazi erano più alti solo negli anni ’30 del secolo scorso. Inoltre, l’effetto dei dazi è amplificato dal «susseguirsi di annunci, smentite e revisioni», che alimenta incertezza e volatilità sui mercati.
Così, la guerra commerciale potrebbe costare un punto percentuale di crescita mondiale in un biennio; ma il danno economico potrebbe essere maggiore per gli stessi Stati Uniti, che non riuscirebbero comunque ad eliminare l’ampio disavanzo commerciale (e nel frattempo il ruolo del dollaro come architrave del sistema monetario internazionale è messo in dubbio). Riguardo all’economia europea, Panetta denuncia i ritardi dell’Ue sul fronte dell’innovazione tecnologica, inclusa l’intelligenza artificiale; le imprese europee investono in R&S la metà di quelle americane. Giustamente la «Bussola per la competitività» della Commissione europea mira a colmare questo gap.
Lo sforzo dovrà essere ingente: per sostenere la transizione verde e digitale, ma anche per rafforzare le capacità di difesa, servirebbero 800 miliardi di euro annui fino al 2030. Il limite, secondo Panetta, è che non ci si può basare solo sui bilanci nazionali o sul settore privato; occorre invece un programma unitario sostenuto da «debito europeo». Per il futuro dell’Ue, bisogna insistere per «consolidare i punti di forza del modello europeo», modello in cui i «sistemi di protezione sociale fondati sul principio di solidarietà» sono condizioni per lo sviluppo. Venendo all’economia italiana, Panetta sottolinea la vitalità del sistema produttivo, malgrado handicap non irrilevanti come l’elevato costo dell’energia.
La dinamica della produttività continua – nonostante incrementi non trascurabili nell’ultimo decennio – ad essere insoddisfacente e questo condiziona la crescita salariale. Infatti salari reali (colpiti anche dal recente shock inflazionistico) sono tuttora inferiori a quelli dell’anno 2000. Sempre in tema di lavoro, è vero che gli occupati hanno superato il picco di 24 milioni di unità, con un tasso di disoccupazione sceso al 6%, ma sono due gli elementi di preoccupazione. Il primo riguarda il capitale umano ancora troppo basso; premesso che l’Italia non è solo un paese d’immigrazione ma è tornata ad essere paese di emigrazione (700 mila italiani emigrati in dieci anni), va rimarcato che un quinto di questi nuovi emigranti sono laureati.
Il secondo elemento di preoccupazione concerne le prospettive demografiche: a causa dell’invecchiamento della popolazione, entro il 2040 ci saranno 5 milioni di persone in età lavorativa in meno (con un conseguente calo del Pil dell’11%), mentre la natalità continua ad essere bassa. Un ultimo commento può essere riferito al sistema finanziario italiano (anche se vi sono molti altri temi discussi da Panetta).
È vero che i conti pubblici hanno retto, anzi sono migliorati dopo le crisi pandemica ed energetica (ora abbiamo avanzi primari di bilancio per la prima volta dopo un quinquennio), ma la politica di bilancio deve continuare ad essere prudente. Intanto è essenziale fare buon uso dei fondi del Pnrr ancora disponibili (dei 122 miliardi di euro finora ricevuti circa la metà sono stati spesi). In definitiva, mentre ci prepariamo «a navigare in queste acque incerte», pare saggio che il Governatore, pur non disconoscendo il cammino percorso, pungoli i responsabili della politica economica, sia a Roma che a Bruxelles.
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