Trump e l’esasperazione della polarizzazione

Un presidente all’apparenza ormai disconnesso dalla realtà. Una disconnessione che si manifesta nella perdita di qualsiasi controllo e inibizione nella comunicazione
Donald Trump - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Donald Trump - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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L’inflazione sale al 3% e non sconta ancora l’impatto di dazi differito dallo sforzo fatto da produttori e distributori per evitare un aumento dei prezzi prima delle spese di Natale. Gli ultimi dati sull’occupazione mostrano un quadro anemico, con una perdita netta di posti di lavoro nel mese di novembre, e un aumento del tasso di disoccupazione al 4,6%.

L’indice, cruciale, della fiducia dei consumatori scende ai livelli più bassi dell’ultimo mezzo secolo, comparabili a quelli del 1980 o della grande crisi del 2008. Molteplici sondaggi indicano una crescente insoddisfazione degli elettori anche su quei temi – economia e immigrazione su tutti – che avevano favorito Trump e i repubblicani alle elezioni dello scorso anno.

Il presidente risponde con un discorso alla nazione breve, pugnace e – al solito – non poco grossolano. Con attacchi e insulti ai suoi predecessori democratici («omaggiati» – Obama e Biden – pure di targhe fatte apporre da Trump sotto le loro foto alla Casa Bianca, nelle quali vengono reiteratamente offesi); e con una banalizzazione estrema dei complessi problemi con i quali gli americani debbono confrontarsi, a partire dall’alto costo della vita.

È, Donald Trump, un presidente all’apparenza ormai disconnesso dalla realtà. Una disconnessione che si manifesta nella perdita di qualsiasi controllo e inibizione nella comunicazione, come si è visto anche nel suo commento alla tragica morte del regista Rob Reiner e della moglie (dovuta, secondo Trump, alla «rabbia» che Reiner, attivo sostenitore dei democratici, avrebbe «provocato negli altri con la sua grave, irriducibile e incurabile afflizione causata da una malattia mentale invalidante nota come sindrome da delirio per Trump»).

Ed è un Trump in difficoltà come non era finora mai stato in questa sua seconda esperienza alla Casa Bianca. Lo evidenziano i dati che abbiamo menzionato così come i primi segnali, timidi ma significativi, di allentamento della fedele disciplina dei repubblicani al Congresso e negli Stati.

Il Congresso, con un’ampia maggioranza bipartisan, vota un nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina che stride con l’ostentata volontà dell’amministrazione di ridurre il sostegno a Kyiv. La sollecitazione della Casa Bianca a seguire l’esempio del Texas e procedere rapidamente a un ridisegno dei collegi elettorali che avvantaggi i repubblicani al mid-term dell’anno prossimo cozza contro l’indisponibilità dei rappresentanti locali a farlo, come stiamo vedendo in Indiana.

Lo sconcertante post su Reiner suscita qualche critica anche a destra. Un numero record di membri repubblicani della Camera dei Rappresentanti decide di non ricandidarsi nel 2026, rendendo ancor più tenui le possibilità per il partito del Presidente di mantenerne il controllo.

Infine, un’ombra potente aleggia sul suo secondo anno di presidenza: il rischio, tutt’altro che ipotetico, che la Corte Suprema confermi i pronunciamenti di due tribunali federali, dichiari illegali i dazi adottati utilizzando legislazione emergenziale, e sottragga così al presidente uno dei suoi strumenti primari di politica estera ed economica, oltre che, in teoria, obbligare a risarcire chi ne è stato vittima.

Da animale ferito, Trump risponde con l’unico metodo che conosce: contrattaccando e, appunto, offendendo. Al di là dell’istinto, che sappiamo muove spesso l’agire del presidente, vi è una logica dietro questo comportamento. Ed è la volontà di ricompattare il un elettorato Maga che, a dispetto di tutto, non lo abbandona.

Ce lo mostrano bene sondaggi secondo i quali il tasso di approvazione dell’operato di Trump è, sì, storicamente molto basso (attorno al 40/43%), ma anche straordinariamente statico. Contraddistinto, cioè, da una sorta d’inscalfibile soglia di resistenza verso il basso.

Questo 40/43% costituisce, a dispetto di tutto, un potente capitale politico ed elettorale. Da mobilitare costantemente con un messaggio estremo e sovraccarico, come quello del discorso di ieri. Con l’obiettivo ultimo di gettare benzina su una polarizzazione radicale che il presidente in teoria dovrebbe cercare di sanare, offrendo un messaggio inclusivo, unitario e pacificatore. Ma che questo presidente, che di quella polarizzazione è in fondo l’esito e il prodotto, invece esaspera e cavalca sistematicamente.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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