La difesa unica dell’Unione europea è un piano senza futuro

Il «Rearm Europe» ha messo all’angolo l’Italia. Sia per l’oggettiva difficoltà a contrarre nuovo debito (sia pur, per ora, al di fuori dei parametri del Patto di stabilità), sia, soprattutto, perché mette a nudo la nostra storica ignavia nella Difesa, le spese per la quale sono ancora vissute come «inevitabile fastidio» per poter recitare un ruolo nelle alleanze, a cominciare dalla Nato.
Con uno dei tipici cerchiobottismi su cui l’Italia galleggia, dilazionando scelte operative in nome di «orizzonti più ampi», uno dei pensieri di larga parte della politica è «si alla difesa europea, no al riarmo dei singoli eserciti». Al di là della contraddizione (come rinforzare la difesa «europea» se non esistono forze armate comunitarie?) meglio esaminare la reale possibilità di giungere a uno strumento militare comunitario.
"Europe is ready to assume its responsibilities.
— European Commission (@EU_Commission) March 4, 2025
ReArm Europe could mobilise close to €800 billion for a safe and resilient Europe.
This is a moment for Europe. And we are ready to step up."
— President @vonderleyen on the defence package pic.twitter.com/OiE8kH8FnK
Esiste già un’alleanza difensiva occidentale, la Nato, ben strutturata nella catena di comando (con gli Usa all’apice): il problema è che la Ue è composta da 27 Stati, la Nato da 32, quindi la struttura «europea» non sarebbe sovrapponibile a quella Atlantica. Uk e Norvegia, ad esempio, sono Nato ma non Ue, mentre l’Austria è Ue ma non Nato, per non parlare di Canada e Turchia. Quindi occorrerebbe una nuova organizzazione, con relativa catena di comando: servirebbero anni, regole chiare (chi decide? Quali priorità e obiettivi? Chi fornisce quali reparti e dove? Gli arsenali nucleari di Francia e UK sarebbero a disposizione di tutti?) e soprattutto investimenti per infrastrutture, arruolamenti (sempre più difficili), addestramento, mezzi, scorte, ecc., che si mangerebbero molti degli 800 miliardi.
Ma sono solo idee di scuola. Lo ha chiarito l’Alto commissario Ue Kaja Kallas, che nel «Libro bianco» della difesa europea afferma: «Gli Stati membri manterranno sempre la responsabilità delle proprie truppe, dalla dottrina allo schieramento, alla definizione delle esigenze delle proprie Forze armate» e «la Ue agirà senza pregiudicare il carattere specifico della politica di sicurezza e difesa di determinati Stati membri e tenendo conto degli interessi di sicurezza e difesa di ciascuno». È evidente, dunque, che il «piano» europeo spinge per potenziare le dotazioni dei singoli Paesi, già risicate prima e poi depauperate sostenendo l’Ucraina: scelta comprensibile, soprattutto per giungere alla massima condivisione di programmi e acquisti «made in Europe», ma che mette in crisi Paesi indebitati come l’Italia.
A essere maligni (lo sottolinea Manuel Di Casoli su Analisi Difesa) si nota che alla Germania, unico grande Paese Ue a non aver problemi di debito, servono 300 miliardi per riportare le Forze armate a un livello più credibile (ora lontano): 100 Berlino li ha messi col precedente Governo. Ne mancano 200, cioè il 25% degli 800 europei e il Pil tedesco è giusto il 24,2% di quello Ue; coincidenza, forse, come il fatto che Ursula Von der Leyen sia stata per sei anni, sino al 2019, ministro della Difesa tedesco.
Can Europe afford to rearm amid economic challenges?
— euronews (@euronews) March 30, 2025
“We have to find some balance between security and the welfare we want to maintain”, says Zdeněk Rod, assistant professor at the University of West Bohemia. 💬
📺 Watch more on #EuropeansStories: https://t.co/FqoRl9gGKU pic.twitter.com/UyCdMd2nAP
Tornando all’Italia, scontiamo la scelta d’aver impostato dopo la caduta del Muro le Forze armate (in primo luogo terrestri) per missioni di pace (peraltro quasi tutte in teatri di guerra) su unità troppo leggere, soprattutto in mezzi e artiglieria, con scarsa capacità di proiezione fuori area e scorte tattiche e strategiche ridottissime.
Ai summit Ue andiamo ancora a cercare ruoli, parlando di ipotetiche missioni di peacekeeping (che Mosca aborre) in Ucraina «sotto l’egida dell’Onu», assolvendoci così in qualunque altra futura scelta. Al solito (qualunque sia il Governo) cerchiamo «equilibri» sulle due sponde dell’Atlantico, ma non perseguiamo la «nostra» politica estera, che ci dovrebbe vedere ben più concentrati su Mediterraneo (il «Libro bianco» Ue manco lo nomina), Nord Africa e Sahel. Certo è che recuperare il non fatto nella Difesa costerà, ma non servono investimenti «monstre»: basterebbe raggiungere, finalmente, anche in due o tre anni, la famosa soglia minima del 2% votata nel 2014 a Dublino. Magari senza investire troppo in personale aggiuntivo: la nostra Difesa basta e avanza come «stipendificio».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
