La cortesia minima necessaria è la confezione che serve

È martedì ed è giorno di mercato. Già prima dalle otto l’aria è satura degli aromi del cibo, delle voci di chi si è alzato presto per fare un giro tra bancarelle prima di buttarsi sulle questioni di tutti i giorni. Anche Serena si è alzata presto e adesso ha sotto il banco un sacchetto di quelli oleati, pieno di crocchette di patate con dei sorrisi scavati dentro. Stanno diventando tiepide e prima della ricreazione saranno fredde, ma non per questo mendo odorose o meno appetibili.
Serena è in quella fase della vita (che non per tutti finisce) in cui la digestione non è un problema e poi ha un’idea e per quell’idea potrebbe considerare buoni anche i fogli del quaderno. Il giorno prima le hanno sbattuto in faccia un’accusa che l’ha ferita. Le hanno dato della «people pleaser» che, tradotto per chi non è proprio addentro al gergo corrente, è la definizione per quelle persone che farebbero di tutto pur di compiacere chi hanno davanti.
Qualcosa in più che «accomodanti» o «compiacenti»: disposti a prendere posizioni di autonegazione e autodanneggiamento da cui poi è difficile togliersi. Serena è orgogliosa, ha una certa consapevolezza di sé (ragguardevole per l’età) e per questo insieme di fattori sa che l’accusa è ingiusta. E non intende lasciarla passare sotto silenzio. Lei rivendica di essere solo stata cortese, ma esserlo stata con la persona più detestata da tutti le ha meritato l’antipatia dei compagni, che non sono amici: i compagni di classe te li trovi, gli amici li selezioni. Serena ha passato il pomeriggio del lunedì a rigirarsi in testa quelle due parole inglesi che le sono andate di traverso.
Quando finalmente arriva la ricreazione, il cartoccio di crocchette viene sfoderato in tutta la sua attrattività, ma Serena spinge sull’acceleratore. «Ne vorresti una?» chiede ai compagni ad uno ad uno e questo è sufficiente per catalizzarle attorno l’attenzione anche dei più distratti. Serena consegna o nega argomentando. In sostanza, dice in faccia a ciascuno ciò che pensa. Le escono dalla bocca considerazioni del tipo «Sei imbarazzante quando pensi di fare il simpatico» oppure «Apprezzo che tu ammetta di non aver studiato anziché far finta di non ricordare». Offre il cibo oppure se lo mette in bocca e mastica con gusto, a seconda.
I primi vengono presi in contropiede, dei rimanenti qualcuno spinge incuriosito di sentire la sentenza e altri si allontanano sbuffando o imprecando, in base all’indole. Serena non risparmia niente a nessuno. Ben prima che la ricreazione finisca, ha esaurito la missione che si era data: dimostrare che la cortesia a volte serve, nella giusta misura. La sincerità, che reclamano soprattutto quelli che sono spettatori e non agenti, può essere brutale se non viene avvolta nella confezione della cortesia minima necessaria.
Quando la cortesia si trasforma in gentilezza sarebbe bene apprezzarla. Serena è una ragazza che, se mantiene l’indole, potrebbe riservare piacevoli sorprese per il suo futuro. Il nuovo stigma sui «people pleaser» potrebbe essere il fraintendimento enfatico candidato a diventare la nuova tagliola in cui mettere il piede, perché nel mondo dell’arroganza potrebbe essere utilissimo qualcuno che fa la differenza. Una volta si chiamava diplomazia ed è sempre arrivata dove doveva.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
