Cessate il fuoco, l’impervia strada che porta alla pace

La tregua concordata pochi giorni fa tra Stati Uniti e Ucraina non è stata per il momento accolta da Putin
Trump e Putin sono protagonisti per il raggiungimento della pace - Ansa © www.giornaledibrescia.it
Trump e Putin sono protagonisti per il raggiungimento della pace - Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Aveva promesso di porre termine alla guerra in Ucraina durante il suo primo giorno di presidenza, Donald Trump. Ma dopo quasi due mesi, e non poco agitarsi, la pace appare ancora molto lontana. Non sono bastate le tante aperture di credito a Mosca. Non è bastato l’ostentato maltrattamento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky in occasione del suo viaggio a Washington due settimane fa.

E non è bastata nemmeno la successiva, parziale capitolazione di quest’ultimo, ormai pronto a firmare l’accordo dai contenuti quasi neocoloniali con gli Usa per lo sfruttamento delle presunte (e a oggi tutt’altro che certe) risorse minerarie ucraine e ad accettare quelle che appaiono le inevitabili concessioni territoriali alla Russia.

Il cessate il fuoco concordato pochi giorni fa tra Stati Uniti e Ucraina non è stato per il momento accolto da Putin. Che pone condizioni e prende tempo. Forse perché conta di rafforzare la sua posizione negoziale con ulteriori, piccoli successi militari sul campo. O forse perché i nodi da sciogliere sono ancora troppi e quanto ottenuto in linea di principio da Washington a oggi non sufficiente.

Perché passare dai termini vaghi e generali di un’ipotesi di accordo a quelli minuti e precisi di una pace vera è immensamente complesso. E perché probabilmente una pace vera, che garantisce comunque sicurezza e sovranità a un’Ucraina moncata di pezzi del suo territorio, Putin non la vuole. È su questo che si determina il cortocircuito che paralizza la discussione e allontana il compromesso. Ed è questo pure il grande interrogativo che rimane sulle reali intenzioni ed effettive capacità dell’amministrazione Trump.

Per quanto favorevole in alcuni suoi aspetti alla Russia, un’intesa vera e duratura non può essere una semplice capitolazione a tutte le richieste di Putin. Anche perché dopo tutto quello che è successo è inimmaginabile che il popolo ucraino accetti una resa che riporti il paese sotto una qualche sfera d’influenza russa, limitandone sovranità e libertà. Così come è inimmaginabile che lo accettino senza colpo ferire gli europei, consapevoli che una inequivoca vittoria russa rischia di alimentare il revisionismo putiniano, trasferendolo rapidamente ad altri teatri, dai baltici alla Moldavia.

Gli Usa possono offrire molto a Mosca, inclusa la testa politica di Zelensky, e l’impressione forte è che anche quello sia un tassello del baratto in discussione con Putin. Non possono però cedere su tutto o accettare, al di là della sua dubbia praticabilità, che l’Ucraina torni a essere pienamente subordinata alla Russia. Carte da giocare Washington ne ha in realtà più di una, per rimanere alla (brutta) metafora usata da Trump nel suo incontro/scontro con Zelensky. Da ulteriori sanzioni economiche alla riattivazione di massicci aiuti militari (che il Congresso, venendo la proposta da Trump, di sicuro non osteggerebbe) all’accoglimento pieno della richiesta franco-britannica di fornire il fondamentale sostegno a un eventuale dispiegamento di truppe europee, di strumenti con cui punire la Russia gli Usa ne preservano infatti diversi. E Putin non può non essere consapevole che un interlocutore meglio disposto di Trump a Washington non lo troverà mai.

Ecco perché la variabile decisiva sembrano essere ancora una volta le decisioni degli Stati Uniti. Ovvero sembrano essere quelle di Donald Trump, che, come suo consueto, oscilla in modo erratico tra aperture e minacce di escalation, celebrazione del dialogo «produttivo» con Mosca ed enfatizzazione degli scenari apocalittici che conseguirebbero a un mancato accordo.

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