Il centrosinistra, il caso Puglia e la difficoltà a fare sintesi

La Puglia andrà al voto verosimilmente a novembre, insieme a Campania e Veneto, ma ancora non conosciamo la data della consultazione, né sappiamo chi sarà il candidato del centrodestra (che non è stato deciso neanche nelle altre due regioni). Sebbene, in teoria, sia eclatante che la coalizione di governo non abbia ancora raggiunto un accordo interno sui candidati governatori di tre importanti regioni italiane (forse perché il Veneto è già vinto dal centrodestra e Puglia e Toscana già perse, salvo grossissime sorprese, quindi le candidature sono dettagli trascurabili per esiti scontati) è il centrosinistra ad aver animato per settimane il dibattito pugliese.
Finito il secondo mandato di Emiliano, per il «campo largo» pugliese era stato indicato da tempo l’europarlamentare del Pd Decaro, ma si è arrivati alla designazione ufficiale dopo una lunga guerra fra Decaro stesso, Emiliano e Vendola (anche quest’ultimo, come Emiliano, ha governato per dieci anni la Regione). L’europarlamentare non accettava la presenza in Consiglio regionale dei suoi due predecessori, per dare un segnale di discontinuità e per evitare un «commissariamento» da parte di due esponenti politici tanto importanti e un po’ «ingombranti».
In sintesi, Decaro non aveva e non ha intenzione di fare la fine di chi sarà eletto governatore del Veneto, che di certo sarà sovrastato dall'ombra lunga del «Doge» Zaia. In più, ci sono questioni insieme interne al Pd e al «campo largo»: Emiliano (Pd) e Vendola (Avs) rappresentano il pezzo del centrosinistra che vuole a tutti i costi l’accordo con i Cinquestelle e sostiene la svolta a sinistra impressa dalla segreteria Schlein.
Decaro, che pure sarà sostenuto da tutti i partiti dell'opposizione (con l'incognita di Azione, che il M5s vuole includere nella coalizione solo se «annacquata» in una generica lista civica centrista) è ormai il candidato naturale dei riformisti per sfidare la Schlein al prossimo congresso del Pd; sarebbe un po’ come ai tempi di Bonaccini, che affrontò (perdendo) l’attuale segretaria essendo presidente di una regione (nel suo caso, l'Emilia-Romagna).
Avere Emiliano e Vendola a fare da «padri nobili» della maggioranza non è dunque per Decaro solo un problema di convivenza locale, ma ha un significato anche nazionale, perché la linea politica dell’aspirante governatore è distante da quella dei suoi due predecessori. Il balletto di veti e controveti (Emiliano che non ne voleva subire e che comunque aveva detto di candidarsi se si fosse presentato Vendola; Vendola si presenterà perché il Pd non può imporre ad Avs la composizione delle liste di partito; Decaro si era detto pronto a rinunciare se si fosse ritrovato i due in Consiglio regionale) è finito con un compromesso pasticciato e forse neanche troppo stabile.
È possibile che, se la Regione fosse stata in bilico fra i poli, si sarebbe evitata questa vicenda, che di sicuro lascerà strascichi. Ma in Puglia il centrodestra non si è mai mosso dal 41% dei voti (regionali: 41,4%; politiche: 41,1%; europee, 41,2%) mentre la somma dei partiti del «campo largo» ha sempre superato il 50%.
Non solo: Pd e M5s si sono, col tempo e nelle varie occasioni, scambiati i voti (o, meglio, i pentastellati ne hanno persi quasi solo verso i democratici e solo in parte in direzione di Avs): dal 27,7% ottenuto dai due partiti (17,3% Pd, 10,4% M5s) alle regionali del 2020 si è passati al 44,8% delle politiche 2022 (M5s 28%, Pd 16,8%) per salire ancora, al 47,7% delle europee (Pd 33,6 – il doppio rispetto alle politiche – e M5s al 14,1%, nella regione di Conte), quindi la base di partenza alla quale aggregare i consensi di Avs (che non saranno pochi, con Vendola in lista) e quelli dei partiti centristi di centrosinistra è molto ampia. Di fatto, è come se – fino a prova contraria – per eleggere il nuovo «governatore» pugliese sia bastato un pur combattutissimo congresso interno alla coalizione Pd-M5s.
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