Caso Almasri, tra Italia e Libia un fragile equilibrio

Quali siano le ragioni dietro all’ordine della Corte penale europea, la circostanza ha di certo messo a rischio il bilanciamento diplomatico raggiunto anni fa: Nordio e Piantedosi ora riferiranno in Parlamento
Caso Almasri, tra Italia e Libia un fragile equilibrio - Foto Ansa/Fabio Frustaci © www.giornaledibrescia.it
Caso Almasri, tra Italia e Libia un fragile equilibrio - Foto Ansa/Fabio Frustaci © www.giornaledibrescia.it
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Oggi i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi riferiranno al Parlamento sulla controversa vicenda Almasri. Difficilmente si discosteranno da quanto già dichiarato ufficialmente nei giorni scorsi: e cioè che la scarcerazione del generale libico è stata decisa dalla magistratura che ne aveva, come sostiene un giudice autorevole (e non di destra) come Nello Nappi, «esclusiva competenza» e che una volta a piede libero, il governo ha deciso di rimpatriarlo «per ragioni di sicurezza nazionale», per usare le parole di Piantedosi in una precedente audizione parlamentare.

Cosa significa «ragioni di sicurezza nazionale»? Lo ha spiegato con la consueta chiarezza Marco Minniti, predecessore di Piantedosi al Viminale e autore a suo tempo degli accordi tra Italia e Libia. «La Libia è strategica» ha detto. E lo ha argomentato: perché è il punto più avanzato dal quale partono i flussi del l’immigrazione illegale verso l’Italia, perché ci sono rilevantissime questioni energetiche che coinvolgono un pezzo fondamentale della nostra economia (l’Eni) e perché l’Africa «è il massimo incubatore del terrorismo islamista».

Va da sé che nei confronti della Libia l’Italia deve per forza usare il criterio realistico dell’interesse nazionale, due parole che per decenni sono state bandite dal nostro lessico politico, come se fossero indice di chissà quale sovranismo autoritario, e non invece il primo dovere di qualunque governo, soprattutto – aggiunge Minniti – «quando, al suo massimo livello, si tratta dell’incolumità di ogni cittadino italiano».

Se dunque la Corte Penale europea decide di gettarci tra i piedi un potentissimo generale libico ordinandoci di arrestarlo non appena ha oltrepassato il confine italiano dopo che ben venticinque giorni ha viaggiato indisturbato e senza nascondersi per mezza Europa, si vorrà ammettere che l’Italia viene messa in una situazione quantomeno complessa? Lasciamo perdere se questo sia stato intenzionale oppure no. Ma è un fatto che la circostanza ha messo a rischio un equilibrio diplomatico che abbiamo raggiunto anni fa (da governi di centrosinistra con Minniti ministro dell’Interno) e faticato a mantenere in quel pericoloso ginepraio che è la Libia del dopo Gheddafi dove si muovono con ben altra libertà russi, turchi e cinesi. Questa consapevolezza dovrebbe – in nome dell’interesse nazionale – una volta tanto accomunare tutti i rami delle istituzioni come vediamo fare, in vicende analoghe, in paesi come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna che mostrano compattezza «nazionale».

Viviamo in un mondo difficile e pericoloso più che mai, serve realpolitik, serve uno spirito maturo e non adolescenziale per governare, serve anche «saper parlare con il nemico» come dice Minniti.

E se Minniti può suscitare qualche alzata di sopracciglio, soprattutto a sinistra, ricordiamoci che la stessa cosa, quasi con identiche parole, la disse quando era a palazzo Chigi Mario Draghi, un servitore delle istituzioni democratiche al di sopra di ogni sospetto.

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