Il Governo taglia 30mila norme: 40 chilometri di semplificazione

Nei giorni scorsi la ministra delle Riforme Elisabetta Casellati, con il via libera definitivo del Senato, ha cancellato 30.709 atti normativi che risalivano al periodo fra l'Unità d'Italia e la nascita della Repubblica
La ministra per le Riforme Elisabetta Casellati - © www.giornaledibrescia.it
La ministra per le Riforme Elisabetta Casellati - © www.giornaledibrescia.it
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Una bella sfalciata. Nei giorni scorsi il ministro delle Riforme Elisabetta Casellati, con il via libera definitivo del Senato (nessun contrario, qualche astenuto), ha cancellato d'un sol colpo 30.709 norme che risalivano al periodo fra l'Unità d'Italia e la nascita della Repubblica.

«Passo storico di semplificazione del nostro ordinamento», l'ha definito la ministra. Ma davvero? A guardare la mole delle scartoffie cancellate verrebbe da dargli ragione: se messi in fila, quei fogli, si allungherebbero per 40 chilometri. Eppure sono solo quel che resta di un'operazione che altri ministri, nel tempo, hanno già messo in pratica.

Nel 1997 Franco Bassanini aveva spazzato via norme obsolete, con stile manageriale. Tredici anni dopo, nel 2010, anticipando con il clima del nostro tempo, il ministro della Semplificazione, il leghista Roberto Calderoli, aveva imbracciato il lanciafiamme ed aveva dato fuoco a 150 scatoloni nel cortile della Scuola Antincendio di Roma.

Idealmente, quelle scatole contenevano altri 35 mila fra regi decreti, decreti luogotenenziali e decreti del duce del periodo fra il 1861 e il 1946. Evidentemente non bastavano l'impronta amministrativa e la foga distruttiva, visto che la Casellati ne ha ora trovati altri 30 mila da spazzare via.

I numeri sono impietosi e fanno spavento. Quando nacque la Repubblica italiana, restarono in vigore 204.272 norme precedenti. Ora, dopo tutte le sfalciate «storiche», ne restano ancora 110.797. Quando, nel 2007, grazie alla digitalizzazione dell'intero sistema, si cercò di fare il punto e si accertò che l'Italia aveva in vigore 21.691 leggi. Esattamente il doppio della Francia, tanto per dire.

Le operazioni finora fatte sono, in realtà, una pulizia più formale che sostanziale. Eliminano norme che per loro natura sono già estinte da tempo. Come quelle che durante il Ventennio fascista obbligavano gli italiani a dire sciampagna invece di champagne, oppure a mettere la i al plurale di film, quindi i «filmi» girati a Cinecittà.

Altre non hanno più ragione d'esistere, come quelle dei dazi comunali (figuratevi che festa farebbe Trump): Massa poteva esigere un dazio sul pedaggio del trasporto dei marmi, Vicenza un dazio supplementare sulle «bevande vinose in fusto».

Il Comune di Codigoro poteva imporre una propria tassa sui cani. E che dire del decreto che istituiva e regolava la Colonia elioterapica di Campo Sammartino? Si sprecano i decreti che regolavano assunzioni e stipendi di personale universitario e delle innumerevoli istituzioni della pubblica amministrazione. Un'epifania di eccezioni e privilegi. Restano in vigore quelli che hanno ancora un senso, come quelli che stabiliscono i confini tra Comuni accorpati ai tempi della riforma fascista e ancora esistenti.

Sfogliando quelle norme vecchie, spunta qualche riflessione di più stringente attualità. Ai tempi, la scena normativa era dominata dai decreti del re o del duce. Esattamente come oggi i decreti del Governo. E il Parlamento? Non spetta forse alle Camere il potere legislativo? Il ruolo di senatori e deputati, oggi come allora, fatte le dovute differenze, sembra esaurirsi in una sorta di nudo diritto di parola più che in un compito di rappresentanza popolare per indirizzare, valutare e legiferare.

Semplificare, mettere ordine, non è tanto cancellare leggi e norme che nessuno più ricorda e che sono comunque diventate obsolete, ma fare in modo di non complicare la vita quotidiana dei cittadini e delle istituzioni. Ed è su questo fronte che i numeri - ancora i numeri - svelano piuttosto una direzione contraria.

Basterebbe pensare che il Governo in carica, dall'inizio del suo mandato, ha coniato una settantina di nuovi reati. Erano colpe già sanzionate da altre leggi, non era indispensabile esplicitarne ulteriori elementi. Come sanzionare chi cerca di prelevare un vaso antico trovato in fonda al mare, oppure chi danneggia un sistema informatico ritenuto di interesse pubblico, o chi organizza o partecipa ad un rave party.

È il tentativo di normare ogni dettaglio che complica la vita, non solo in campo penale, ma anche sul fronte della burocrazia civile. Invece la burocrazia resiste. Se va bene si trasferisce su piattaforme digitali. Bassanini e Calderoli ci hanno provato a cambiare. La Casellati ci sta provando. La strada seguita da tutti è stata tuttavia quella di emanare nuove norme. Non tutte chiarissime nel linguaggio e nelle finalità, molte sono lunghe e articolate, con propaggini farraginose.

Nel saggio «Governare la fragilità», Roberto Garofoli e Giorgio Mattarella spiegano che a volte un singolo atto legislativo è composto da 150 mila parole. Con buona pace della semplificazione.

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