Autonomia differenziata, una storia travagliata e ancora da scrivere

Figlia di un lungo processo politico iniziato nei primi anni Ottanta, ha «soppiantato» il Federalismo
Manifestazione contro la proposta di legge sull’autonomia differenziata - © www.giornaledibrescia.it
Manifestazione contro la proposta di legge sull’autonomia differenziata - © www.giornaledibrescia.it
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L’Autonomia differenziata è figlia di un lungo processo politico e di una serie di iniziative che si sono succedute nel corso degli ultimi quarant’anni.

Mentre le leghe lombarda e veneta cominciavano ad affacciarsi sulla scena politica del Nord, rosicchiando inizialmente qualche voto (soprattutto alla Dc, nei primi tempi) il Gruppo di Milano coordinato dal professor Gianfranco Miglio metteva a punto, nel 1983, una sorta di «costituzione alternativa», che prevedeva fra l’altro una Camera delle regioni (già oggetto, qualche anno prima, di un libro del giurista Nicola Occhiocupo). Fra il 1983 e il 1985, con la prima bicamerale per le riforme istituzionali, presieduta dal liberale Aldo Bozzi, si comincia ad affrontare il tema della revisione della Carta repubblicana del 1947, pur non toccando il rapporto Stato-regioni.

 però con l’affermazione elettorale della Lega lombarda alle europee del 1989 e alle regionali del 1990 che il federalismo si fa strada nel dibattito politico, anche se la riforma degli enti locali e l’elezione diretta dei sindaci sono iniziative prese dai governi fra il 1990 e il 1993, indipendentemente dai successi del Carroccio. Nel 1995 arriva la designazione popolare dei presidenti delle regioni ordinarie, che conferisce a quelli che impropriamente si chiamano «governatori» maggior peso politico.

Frattanto, la seconda bicamerale per le riforme (1992-’94, presieduta dal democristiano Ciriaco De Mita e poi dalla pidiessina Nilde Iotti) ha proposto di dividere la legislazione statale da quella regionale in modo più netto e ampio che nell’articolo 117 della Costituzione, individuando le materie di competenza del Parlamento e lasciando il resto ai Consigli regionali. Nel 1994 la breve stagione del primo governo Berlusconi composto anche da esponenti del Carroccio permette al ministro delle riforme Francesco Speroni (Lega) di presentare un progetto nel quale si ipotizza una forma di Stato di tipo federalista. Nel frattempo, nella prima metà degli anni ’90, il Carroccio teorizza senza successo la via della secessione del Nord.

La terza bicamerale nasce nel 1997, presieduta da Massimo D’Alema (Pds); uno dei quattro comitati della Commissione si occupa della forma di Stato e conclude i suoi lavori proponendo di assegnare alle regioni la potestà legislativa per tutte le materie nelle quali non è riservata espressamente allo Stato, riconoscendo autonomia finanziaria agli enti locali.

Si tratta dell’embrione della riforma del Titolo V della Costituzione approvata con i voti del solo centrosinistra a fine legislatura, che divide le materie fra quelle di potestà esclusiva dello Stato (diciassette gruppi) da quelle concorrenti (venti gruppi) lasciando tutte le altre alle regioni (nuovo articolo 117 Cost.); la riforma, voluta anche per cercare di strappare la Lega al centrodestra in vista delle elezioni politiche del 2001, è confermata dal voto popolare, ed è alla base dell’attuale richiesta di autonomia differenziata. Afferma il principio di sussidiarietà, disciplina l’autonomia finanziaria degli enti locali e riordina le funzioni amministrative.

Frattanto, nel 1999 è approvata la riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta (non più designazione) dei presidenti delle regioni. Alla Lega la riforma del titolo V non basta: nel 2005 la maggioranza di centrodestra approva una legge costituzionale che cambia la Seconda parte della Carta fondamentale introducendo il Senato federale della Repubblica, ridistribuendo la potestà legislativa fra Camera, Senato e Regioni, introducendo inoltre la «devoluzione». Fra l’altro, nel progetto del 2005 (che sarà bocciato dagli elettori col referendum del 2006) si prevede un meccanismo di elezione diretta del presidente del Consiglio molto simile a quella attualmente in discussione.

Nella legislatura successiva, durante la quale è al governo il centrosinistra, viene discusso (2007-2008) un progetto di legge di revisione costituzionale che, fra l’altro, trasforma il Senato in una Camera delle regioni e delle autonomie, modificando il sistema bicamerale e dando più peso, nel sistema istituzionale, ai rappresentanti delle regioni. La fine della legislatura bloccherà la riforma.

Nel 2009 (IV governo Berlusconi, Pdl-Lega) si affronta il tema del federalismo fiscale, con la legge delega 5 maggio 2009, n. 42, che ne definisce principi e criteri direttivi. Si interviene in materia, durante la grave crisi economica del 2011-’12, con un atto del governo Monti (legge 213 del 2012). I nuovi parametri anche costituzionali di bilancio e le esigenze di ordine economico, non favoriscono la rapida attuazione del federalismo fiscale.

Nel 2016 il Parlamento approva la riforma costituzionale voluta dal presidente del Consiglio Renzi (Pd) che riforma il Senato facendolo diventare una Camera di rappresentanza degli enti territoriali, con i senatori eletti dai Consigli regionali. Sul piano del rapporto Stato-regioni, la riforma Renzi introduce la «clausola di supremazia» che dà al governo la facoltà di intervenire anche su materie non di competenza statale, se fosse necessario tutelare l’unità giuridica o economica della Repubblica; si riducono inoltre le materie sulle quali concedere particolari forme di autonomia alle regioni. La riforma è respinta con referendum nel dicembre 2016.

Il 22 ottobre 2017 si svolgono in Lombardia e Veneto referendum consultivi per chiedere al popolo un avallo politico perché le rispettive regioni promuovano, secondo l’articolo 116 comma 3 della Costituzione, la richiesta di attribuzione di forme di autonomia. È in questo momento che inizia il percorso dell’autonomia differenziata, giunto ad un punto cruciale con la recente approvazione della legge in tema, la quale - tuttavia - rimanda l’applicazione concreta alla definizione delle norme sui costi standard e dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) nelle materie che le regioni richiedono di vedersi attribuite.

Tracciando un bilancio di questo lungo percorso iniziato negli anni Ottanta con istanze di tipo federalistico - se non, talvolta, secessionistico - e proseguito con una fase nella quale anche le forze politiche diverse dalla Lega (per esempio quelle del centrosinistra col cosiddetto «partito dei sindaci») hanno sposato o almeno simpatizzato per un graduale cambiamento del rapporto fra Stato ed enti locali in favore di questi ultimi, si è giunti al momento attuale, nel quale «l’autonomia differenziata», giunta in luogo del federalismo, è oggetto di prese di posizione contrastanti, nel quadro di una stagione politica che sul rapporto centro-periferia sembra non essere, in generale, sulle stesse posizioni di venti o anche trent’anni fa.

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