Il disincanto dell’oleandro

La tenacia dell’oleandro è esemplare. Per utilizzare un orrendo termine oggi molto diffuso (e già per questo insopportabile) potremmo dire che l’oleandro è una pianta resiliente. Ha pochissime esigenze, se c’è acqua beve, se non ce n’è si adegua. Non è certo un caso che sia finito a fare da spartitraffico lungo le autostrade, regalando così squarci di romantico colore nella tristezza di auto e asfalto.
In questo periodo (se non è già stato fatto in autunno) è pronto per la potatura. Anche in questo caso non ha pretese, tu puoi intervenire pesantemente (raramente ho visto oleandri potati con perizia) e lui in primavera ti ricompensa comunque con generosa germogliazione. Negli ultimi anni, complice il decadimento inesorabile del senso estetico, l’oleandro è stato considerato non più di moda. C’è indubbiamente pure invidia nei suoi confronti, perché l’oleandro attraversa tutte le stagioni con invidiabile distacco.
Non è così per tutti, prendete i cinquantenni che non si rassegnano (i miei coetanei). Cresciuti guardando Bim Bum Bam e mangiando la Girella pensano che l’esistenza sia un’eterna adolescenza. Attualmente capita di incontrare esemplari di questa specie con pantaloni larghissimi, felpona d’ordinanza, cappellino e zainetto. Look perfetto per un sedicenne. I cinquantenni, sfiancati dall’attività fisica convinti che sia l’elisir per l’eterna (impossibile) giovinezza, guardano i ventenni per copiarli dimenticando di guardarsi allo specchio. Io, come l’oleandro, perseguo la filosofia del mai di moda perché sempre di moda. E considero i cinquant’anni come la metà dei cento, è la primavera dell’autunno.
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