Italia e Estero

«Ogni sera un posto diverso per collegarmi con la mia gente»

Quarantotto anni, da 18 in Italia, Roman racconta: «Le comunicazioni sono permesse, quindi ci controllano. Ma noi abbiamo codici segreti»
Persone in un rifugio a Kiev - Foto Epa/Roman Pilipey © www.giornaledibrescia.it
Persone in un rifugio a Kiev - Foto Epa/Roman Pilipey © www.giornaledibrescia.it
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Un ponte tra l'Italia, dove vive, e l'Ucraina, dove è nato e cresciuto. Roman - nome di fantastia - è un uomo di 48 anni che vive nella Bassa Brescia e che ogni sera si collega con amici e parenti che vivono in città e villaggi sotto gli attacchi dei soldati russi. Ogni giorno, attraverso Roman, parleremo con chi sta vivendo la guerra in prima persona: questo progetto si chiama «Radio Kiev» ed è a cura di Tonino Zana.

Lo chiameremo Roman. Ogni notte parla con parenti e amici di Kiev e di Donetsk, di altre terre dell’Ucraina. È in Italia con moglie e figlio da 18 anni, compie tra qualche giorno 48 anni, è giardiniere e occhio lungo di imprenditori tra Rudiano e Roccafranca. Verso le dieci di sera, avverte e saluta il «capo», come lo chiama, e in bicicletta finisce in una cascinetta diroccata sull’Oglio, proprietà dell’azienda. Toglie dal sacchetto del supermercato il computer e si collega con la sua Ucraina. Ieri sera tratteneva lacrime di rabbia e di dolore.

«I russi hanno colpito Kiev con bombe da 500 chili, condomini e supermercati sventrati, molti civili uccisi. Mia madre non piange, mia madre prega e mi dice di pregare. Io le raccomando di ripararsi e lei mi risponde che il suo riparo è il Signore. È una donna coraggiosa, ha visto suo padre morire nella neve della guerra e ha cresciuto noi a grano, verdure e galline».

Questa nostra «Radio Kiev» è la diretta tra i fratelli dell’Ucraina con noi tutti. Roman ha cento storie. Si collega nei modi più vari. Spiega che bisogna stare attenti, le comunicazioni sono permesse e quindi sono controllate, altrimenti Putin le interromperebbe.

«Ci lascia parlare per ascoltare, ma anche noi abbiamo codici segreti, una parola significa un’altra parola e tre parole messe in un certo modo, dicono un pericolo, una situazione». Giovani soldati russi, racconta, «hanno bussato alle porte di alcuni nostri amici. Sono affamati, convinti di stare lì per un’esercitazione, non sanno dove dormire e qualcuno, di nascosto, è stato ospitato da noi. All’alba è uscito ed è tornato in strada a combatterci. Non hanno voglia di colpirci, è quel grande pazzo di Putin che non conosce niente di noi. Ora abbiamo paura di chi si è travestito da ucraino patriota e invece vuole ucciderci. Anche in Italia ci sono orecchi russi. Non mi fido e mi muovo con molta attenzione. Perché sono sull’Oglio? Per non disturbare e compromettere chi mi ha dato lavoro e per non mettere in pericolo nessuno. Ogni sera cambio posto. La campagna bresciana, di notte, è deserto e nessuno dice niente a Roman che in bicicletta o col motorino va in campagna e finisce sulla sponda del fiume. Da qui, per un’ora, io parlo con la mia gente, con mia madre, con i miei amici, con la mia terra. Torno, piango, abbraccio mia moglie e bacio mio figlio che dorme».

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