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Un anno fa iniziavano le prime proteste in Bielorussia

Il 9 agosto 2020 Lukashenko vinceva per la sesta volta le elezioni presidenziali. Tsikhanouskaya: «Contiamo sulla comunità internazionale»
Una protesta a Minsk, in Bielorussia, contro Lukashenko ad agosto 2020 - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
Una protesta a Minsk, in Bielorussia, contro Lukashenko ad agosto 2020 - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
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Il 9 agosto 2020 Alexandr Lukashenko, presidente della Bielorussia da 27 anni, reclamava per la sesta volta la vittoria alle elezioni presidenziali dando il via a una protesta di piazza senza precedenti.

Giovani e cittadini di tutte le età iniziarono ogni settimana a manifestare per le strade di Minsk per denunciare brogli. In questi mesi il regime ha risposto con violenza, a cui gli altri paesi dell’Occidente hanno opposto sanzioni e un ulteriore isolamento internazionale. «Nell’anniversario delle false elezioni, il 9 agosto, contiamo sulla comunità internazionale per inviare un segnale di solidarietà ai bielorussi che lottano per la democrazia e la libertà. Spargete la voce sulle nostre persone coraggiose», ha twittato Svetlana Tsikhanouskaya, leader dell’opposizione. Alla vigilia delle elezioni del 2020 tutti i sondaggi la davano come vincitrice. E invece dopo il voto è stata costretta a fuggire in Lituania per continuare la sua battaglia dall'esilio. Di recente ha incontrato il presidente Usa Joe Biden e il premier britannico Boris Johnson. 

Da quel 9 agosto le proteste contro le elezioni truffa si sono susseguite a cadenza settimanale nella capitale bielorussa, nonostante la repressione attuata dal regime di Lukashenko: migliaia di arresti, i principali avversari politici in manette o in fuga, definiti «criminali e rivoluzionari finanziati dagli occidentali». Con il passare dei mesi le proteste si sono affievolite, a fronte di una di un controllo di stato sempre più violento, anche contro i giornalisti indipendenti. A febbraio, Daria Tchoultsova e Katerina Bakhvalova, di Belsat, un media dell'opposizione con sede in Polonia, sono state condannate a due anni di detenzione per aver trasmesso manifestazioni in diretta. A maggio il più grande sito di notizie del paese, Tut.by, è stato il primo a chiudere, seguito da Radio Liberté, Nacha Niva e altri media regionali. 

Nei giorni scorsi la velocista Krystsina Tsimanouskaya alle Olimpiadi di Tokyo, dopo essere stata minacciata di rimpatrio forzato per aver criticato i suoi allenatori pubblicamente, ha chiesto protezione all'ambasciata polacca e ottenuto un visto umanitario, mentre suo marito è fuggito in Ucraina. A maggio è stato arrestato il giornalista Roman Protassevich, dopo un dirottamento su Minsk del suo volo Ryanair Atene-Vilnius. Ed è sempre l'ombra del regime ad aleggiare anche sulla morte dell'attivista Vitaly Shishov, trovato impiccato pochi giorni fa in un parco di Kiev, dove si era rifugiato per aiutare gli altri connazionali in esilio. 

Unione europea e Stati Uniti hanno risposto alla repressione di Minsk adottando una serie di sanzioni, anche economiche. Il capo della diplomazia europea Joseph Borrell ha avvertito che Bruxelles «è pronta ad altre misure» e ha assicurato che «la voce del popolo bielorusso, che ha visto infrangere le sue speranze di eleggere un leader legittimo, non sarà messa a tacere». Lukashenko, tuttavia, continua ad apparire impermeabile, nonostante la forte crisi economica che continua ad attanagliare il suo Paese. Per l'ultimo dittatore d'Europa, come è stato definito da più parti, il sostegno della Russia di Putin sembra che basti per restare al potere..

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