Italia e Estero

Che cosa sta succedendo in Nagorno-Karabakh

Nel Caucaso un conflitto sopito rischia di tramutarsi in una polveriera internazionale. E ci sono centinaia di morti
  • Nagorno-Karabakh, la guerra infiamma il Caucaso
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    Nagorno-Karabakh, la guerra infiamma il Caucaso
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Il Nagorno-Karabakh, tra i più longevi conflitti «congelati» del pianeta, è tornato a infiammarsi dopo gli scontri di ieri tra Erevan e Baku e oggi rischia di bruciare con intensità che non si vedeva da tempo - senz'altro dall'ultimo botta e risposta, datato 2016. La variabile nuova è il fattore Erdogan. Il presidente turco, infatti, si è schierato senza se e senza ma al fianco del musulmano Azerbaigian, definendolo un Paese «amico e fratello».

L'Armenia, al contrario, è tradizionalmente sostenuta da Mosca. Insomma, questa volta il Nagorno-Karabakh potrebbe assumere le sembianze dell'ennesimo match tra il sultano e lo zar, così come già avvenuto in Siria e Libia. Il Cremlino è intervenuto e, per bocca del portavoce Dmitry Peskov, si è detto «molto preoccupato» per quanto sta accadendo nel Caucaso, chiedendo «la cessazione immediata» degli scontri. Mosca ha esortato poi alla «moderazione» tutti gli attori, esterni e interni, per far sì che si torni presto al tavolo negoziale. La questione è vecchia a dir poco e precede persino il crollo dell'Unione Sovietica.

Il territorio che corrisponde all'autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh faceva infatti parte dell'Azerbaigian ma era di popolazione armena; quando si sono manifestate le prime aspirazioni separatiste si sono scatenate le tensioni, sfociate in guerra aperta dopo la dissoluzione dell'Urss. E da allora il conflitto si trascina infaticabilmente, affiancato da un processo di pace - il Gruppo di Minsk dell'Osce, co-presieduto da Russia, Usa e Francia - che compie un passo avanti e uno indietro.

Che questa volta la ripresa delle ostilità possa diventare cosa seria lo testimonia la mobilitazione (parziale) decretata sia da Baku che da Erevan e l'introduzione della legge marziale. Entrambe le parti sostengono di aver conquistato o riconquistato posizioni avversarie e il balletto delle cifre, propagandato dai vari ministeri della Difesa, è impossibile da verificare sul campo: l'Azerbaigian parlava di 550 militari armeni uccisi mentre Erevan indicava 200 vittime tra i soldati azeri.

Nette invece le accuse dell'Armenia contro la Turchia, colpevole a quanto pare di aver trasferito in Azerbaigian ben 4.000 miliziani siriani. Non solo. Il presidente armeno Armen Sarkissian ha affermato pubblicamente che «la Turchia, membro della Nato, sta estendendo la piena assistenza all'Azerbaigian sotto forma di droni, cyberattacchi, consiglieri militari, mercenari e persino di caccia F-16».

Il Cremlino, sulla questione turca, ha fatto capire che sta seguendo la partita da vicino. «Ci sono stati scambi con Ankara attraverso i ministeri degli Esteri, quindi la Russia è assolutamente in contatto con la Turchia», ha assicurato Peskov. A chiedere che la situazione si normalizzi al più presto è stata anche l'Unione Europea, attraverso il portavoce del servizio europeo per l'azione esterna, Peter Stano. «È urgente che si cessino tutte le ostilità poiché c'è un rischio di gravi conseguenze e di destabilizzazione di tutta la regione». L'Ue ha poi sollecitato «tutti gli attori della regione a contribuire a fermare il confronto armato» e «ad evitare interferenze dall'esterno».

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