Un futuro full-electric è davvero possibile

Fare tanti, tanti chilometri. Almeno 80mila. Meglio ancora: 120mila. Ecco il segreto per far sì che l’auto elettrica sia davvero – ma davvero – efficiente dal punto di vista dei costi e soprattutto da quello dell’ecologia. Anche se, va detto, il discorso è ben più sfaccettato e vivace, come dimostrano le numerose lettere al direttore ricevute e pubblicate negli ultimi giorni.
Auto elettriche e aria condizionata
Tutto è partito da un lettore che riferiva il disagio degli automobilisti e delle automobiliste in elettrico rimasti sotto il sole dell’A4 in un giorno di luglio, timorosi di accendere l’aria condizionata per il rischio di rimanere a secco di energia. «Proprio qualche giorno fa su un giornale tedesco tra i più affidabili», sorride il professor Marco Gadola, «è uscito un articolo che dimostrava scientificamente come le vetture elettriche siano molto efficienti dal punto di vista del condizionamento. Chi sostiene che l’aria condizionata succhi tutta l’elettricità fa solo allarmismo». Gadola è docente dell’Università degli Studi di Brescia, dove tiene diversi corsi nell’ambito del corso di laurea magistrale in Ingegneria Meccanica. Con studenti e studentesse partecipa anche agli Unibs Motorsports, progetti per disegnare e costruire auto o moto da corsa, competendo poi con altre università.
Un’auto elettrica ancora non l’hanno ideata (“a oggi troppo impegnativo”), ma di alimentazione elettrica se ne intende, se non altro perché fa parte del Cluster Lombardo Mobilità.
Elettrico VS Diesel
Nella gara elettrico-contro-diesel secondo Gadola non c’è ancora un vincitore assoluto, ma il discorso va affrontato. Il punto di partenza sono secondo lui le tre certezze. «La prima è il cambiamento climatico, che c’è e che è legato ai combustibili fossili. Oltre ai trasporti, a contribuire sono industria, agricoltura, riscaldamento… Ma è bene che tutte le attività antropiche che producono CO2 inizino a ragionare per cambiare le cose.
Il secondo problema è legato alle polveri sottili: in questo caso non è globale, ma locale, e in particolare riguarda la Pianura Padana e le grandi aree urbane come Bolzano o Londra. In Normandia per esempio non sono un problema: c’è il vento. La terza certezza è che parlando di auto e di prodotti industriali si devono considerare le emissioni non dall’acquisto alla rottamazione, ma a partire dall’estrazione delle materie prime per le batterie, e fino allo smaltimento di queste ultime».
Il ciclo di vita delle auto elettriche
Si chiama Life Cycle Assesment e solo con esso si possono tirare davvero le somme. Perché se è vero che le automobili termiche emettono in atmosfera notevoli quantità di CO2 a ogni utilizzo, le auto elettriche ne emettono durante la fase produttiva, e in particolare per la batteria. Questo, nello specifico, è uno dei punti caldi su cui spingono i detrattori dell’elettrico.
«Per ovviare al problema», spiega Gadola, «chi usa l’auto elettrica deve fare tanti chilometri, sfruttando il più possibile la batteria. Ecco come diventa vantaggiosa l’auto elettrica».
Meglio le utilitarie
In particolare, a passare l’esame a pieni voti sarebbero le macchine più piccole, quelle pensate per l’uso urbano. «Le batterie più grandi», svela infatti il docente, «costano più in termini di emissioni durante la produzione. Quindi questo fa pensare che per l’uso urbano le auto elettriche sono nettamente più vantaggiose. Anche perché non c’è la scomodità legata all’autonomia».
Traduzione: se usate (tanto) in città, le auto elettriche più piccole sono molto efficienti, dato che contribuiscono a limitare le polveri sottili in un ambiente già messo alla prova. «Le automobili con grandi batterie», dice Gadola, «devono fare numeri più grandi per diventare vantaggiose rispetto a un diesel».
La soluzione, quindi, è non sprecare, evitando di cambiare la macchina quando ancora ha nelle ruote (e nella batteria) migliaia di chilometri.
Come si smaltiscono le batterie
Altre considerazioni importanti riguardano il discusso fine vita delle batterie. Come funziona?
«La prima possibilità», spiega Gadola, «è togliere le batterie dall’auto una volta che queste hanno fatto un buon numero di chilometri. Lì sono sottoposte a molto stress e a un certo punto perdono di efficienza, ma le si può usare per cicli di vita meno gravosi. Per esempio, le batterie che hanno perso il 20-40% dell’efficienza possono essere usate a lungo per altri scopi, prolungandone di molto la vita e diluendo ancora il carico di CO2 emesso in atmosfera durante la produzione».
La seconda opzione è separare i componenti come il litio, reimmettendoli nel ciclo industriale come prodotti secondari. “Anche questa è una strada promettente”, dice Gadola. “Un po’ come l’alluminio secondario”.
Il futuro in full-electric è possibile
A questo punto, un futuro totalmente in elettrico è possibile? Secondo Gadola sì. «Siamo in una fase di transizione in cui si fa fatica a intravedere il futuro, ma credo ci sarà un’accelerazione dal punto di vista tecnologico e da quello della riduzione dei costi. Il mito del “non c’è energia per tutti” è un mito, appunto. Ci vorrà tempo, ma con gli investimenti adeguati le infrastrutture reggeranno le richieste del mercato».

Soprattutto, secondo lui sarà naturale anche rendere più efficiente il mix energetico con cui viene prodotta l’energia elettrica che alimenta le auto. «Se sono energie rinnovabili, l’automobile elettrica diventa vantaggiosa. Se si usa tanto carbone, ci vuole più tempo perché l’auto raggiunga l’efficienza ecologica. In Italia siamo indietro, ma in Europa pare che siamo al 40% di rinnovabili».
La neutralità tecnologica
L’ultima parola magica che secondo Gadola va tenuta in mente è «neutralità tecnologica». «Significa che non bisogna prendere una posizione ideologica, parlando di veicoli elettrici o termici.
L’auto elettrica non è la medicina per tutti i mali, ma qualsiasi soluzione che permette di abbattere le emissioni è valida e necessaria. Se in futuro arrivassero nuove tecnologie per abbattere le emissioni e combattere il cambiamento climatico, anche queste sarebbero interessanti».
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